Ho notato con un pochino di delusione che tra le 5300 de-recensioni di questo sito ve n'è una sola su Giorgio Gaber. Per ovviare a questa lacuna, provvedo subito ad inserirne una io, scusandomi in anticipo con chi ama questo artista unico (e in questo caso l'abusato aggettivo ci stà tutto) se non riuscirò a parlare in maniera adeguata di un album inarrivabile per profondità di significati e intensità di interpretazione. In ogni caso sono convinto che se riuscirò a ridestare (o destare per la prima volta) l'attenzione dei lettori e la curiosità di chi ancora non lo conosce nei confronti di Gaber, la mia non sarà stata un'opera vana. Inoltre mi auguro che qualcuno con migliori mezzi decida di recensire altri album di Giorgio.

Dopo questa lunga premessa, veniamo al disco.

Siamo nella stagione teatrale 73/74, Gaber porta in scena questo spettacolo, scritto interamente da lui e da Sandro Luporini. L'album è la fedele riproduzione di quello spettacolo. Si tratta dunque di un live, ma il pubblico è molto discreto, e l'interpretazione è talmente perfetta che potrebbe essere un album in studio. Pur non potendosi definire propriamente un concept, l'album presenta comunque in qualche modo un tema di fondo, una sorta di filo conduttore che lega la maggior parte dei brani. È un album che tratta, da vari punti di vista, la crisi dell'individuo moderno, che si trova a vivere all'interno di una società complessa e caotica, preda dello stress, dell'alienazione, dell'insoddisfazione e della difficoltà di percepire se stesso nella propria individualità. Si parte con la canzone omonima, che in qualche modo racchiude il significato complessivo dell'opera. L'uomo, nella società attuale, è costretto a indossare una maschera di perenne soddisfazione, a fingere sempre nei rapporti con gli altri, a coltivare interessi e svaghi sempre nuovi, in modo da riuscire a nascondere a sè stesso e al prossimo il senso opprimente della propria inutilità, della propria incapacità di inserirsi pienamente nel ciclo della vita. Questo senso di smarrimento e di crisi, che è un po' la chiave per leggere tutto l'album, viene analizzato nei diversi brani da varie prospettive. Abbiamo brani di acuta e profonda analisi interiore, un interrogarsi sulle cause della crisi ("Cerco un gesto, un gesto naturale", "L'elastico"), altri dotati di ironia surreale e corrosiva ("Quello che perde i pezzi"), mentre alcuni brani inseriscono la crisi dell'individuo all'interno del conteso sociale, come ad esempio "La comune", dove l'utopia di una vita ideale, tutti insieme, tipica dei movimenti di quegli anni, rivela tutta la sua inconsistenza e ipocrisia, o la spassosa ma allo stesso tempo amara "La marcia dei colitici". Altra canzone chiave dell'album è "Dall'altra parte del cancello", dove in un confronto tra un uomo matto e noi "che abbiamo la fortuna d'esser sani", alla fine Gaber lascia trapelare l'idea che in fondo tutta questa differenza poi non si riesce a trovare. Questi sono solo alcuni dei pezzi, quelli dove la tematica dell'album è più evidente, ma all'interno del disco possiamo trovare tante altre canzoni strepitose, tra cui alcuni dei classici di Gaber, ad esempio "Lo shampoo", "La libertà", "Chiedo scusa se parlo di Maria".

Insomma, un album senza tempo, di una bellezza e profondità straordinaria. Da consigliare a tutti quelli che ancora non hanno avuto modo di conoscere questo artista.

Fidatevi, ne vale veramente la pena.

Elenco tracce testi e video

01   Far finta di essere sani (03:20)

02   Cerco un gesto, un gesto naturale (03:01)

03   La comune (03:18)

04   Il dente della conoscenza (03:22)

05   È sabato (04:03)

06   Lo shampoo (03:51)

Una brutta giornata
chiuso in casa a pensare
una vita sprecata
non c'è niente da fare
non c'è via di scampo
mah, quasi quasi mi faccio uno shampoo.

Uno shampoo?

Una strana giornata
non si muove una foglia
ho la testa ovattata
non ho neanche una voglia
non c'è via di scampo
devo farmi per forza uno shampoo.

Uno shampoo?

Scende l'acqua, scroscia l'acqua
calda, fredda, calda...
Giusta!
Shampoo rosso e giallo, quale marca mi va meglio?
Questa!
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.

[parlato]: La schiuma è una cosa buona, come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco: una mamma enorme, una mamma in bianco.

Sciacquo, sciacquo, sciacquo.

Seconda passata.

Son convinto che sia meglio quello giallo senza canfora.
I migliori son più cari perché sono antiforfora.
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.

[parlato]: La schiuma è una cosa pura, come il latte: purifica di dentro. La schiuma è una cosa sacra che pulisce la persona meschina, abbattuta, oppressa. È una cosa sacra. Come la Santa Messa.

Sciacquo, sciacquo, sciacquo.
Fffffff... Fon.

07   L'impotenza (02:51)

08   Il narciso (02:49)

09   Dall'altra parte del cancello (03:14)

10   Il bloccato (03:08)

11   La marcia dei colitici (02:35)

12   Un'idea (03:32)

13   Il guarito (02:51)

14   Un'emozione (04:54)

15   Chiedo scusa se parlo di Maria (02:32)

16   La presa del potere (03:46)

17   Quello che perde i pezzi (05:12)

18   E tu mi vieni a dire (04:25)

19   La nave (04:48)

La nave è come una nave
ed essendo una nave è abbastanza normale che vada in mare.

Il mare com’è naturale,
immobile e piatto è quasi perfetto sta lì sempre uguale.

La nave ha anche un motore
ed avendo un motore non sa dove va ma continua ad andare.

Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.

La nave e sopra la nave
a parte le masse son tutti presenti gli amici e i parenti…

parlato: Manca solo il nonno, povero nonno…

Per tutti c’è un buon trattamento
ognuno ha il suo posto nel proprio recinto mi sembra anche giusto.

parlato: Prima classe, seconda classe, terza classe e poi le donne, i negri, eccetera, eccetera, eccetera…

La nave è una nave di classe,
il legno del ponte è dipinto di bianco è molto elegante.

parlato: "Bello questo ponte bianco, ah che bel ponte che abbiamo eh, un ponte bianco eh… non ho mai visto una nave rossa, un po’ volgare effettivamente…".

Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.

Sul mare la nave biancheggia,
ha un fascino strano, così suggestiva anche quando beccheggia.

parlato: E’ un fascino che di dentro… mi sento poco bene però!

Ma basta distrarsi la mente,
usare il cervello, pensare un istante a qualcosa di bello.

parlato: Sì devo pensare a qualche cosa di bello che mi distraggo, che mi passa il mal di stomaco…
Vediamo un po’ cosa posso pensare… alla mia ragazza, sì a Maria. Ecco sì la vedo, la mia mano scivola sui capelli, sì va giù sulle spalle sì va giù sui seni sì va giù, ancora più giù… mi torna tutto su…

Il mare com’è strano il mare,
non è che non senta la sua poesia ma mi fa vomitare.

parlato: Devo pensare a qualcosa di più convincente… a un dolore, a un dolore enorme, al nonno, al povero nonno…sì il nonno ha sempre funzionato, dunque mi concentro, vediamo un po’.
Mio nonno morì tragicamente nel ’36 come Gozzano. Mi ero così affezionato, era massone, alto, bel portamento, coi baffi, col fiocco. Aveva sposato la zia di una biscugina, sì la Elvira, la ricordi?
Che vita povero nonno, ogni tanto spariva, bevitore eh, gran bevitore, a un certo punto il fegato… a pezzi, spappolato, putrefatto… sto male, mi torna il vomito, devo resistere, non voglio essere il primo, devo resistere.

Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.

Il mare è un po’ troppo vitale,
la gente si sbianca ma fa resistenza non vuole star male.

parlato: Pensate al nonno!

Sul ponte che è fatto a tre piani
in terza e in seconda e anche in prima si sentono rantoli strani…

parlato: No quelli di prima non me lo aspettavo…

Il mare diventa più grosso
dai piani di sopra su quelli di sotto si vomita addosso.

parlato: Una battaglia, una battaglia che cresce: quelli di prima vomitano su quelli di seconda, quelli di seconda su quelli di terza. Lo scontro è sfrenato, violento, la gente rimanda, reagisce, boccheggia, un prete esorta a volersi bene poi si inginocchia e vomita anche l’anima. Un carabiniere mi tiene allora mi puntello cerco di vomitare verso l’alto ma non ci arrivo. Quelli di sopra han la meglio, si sporcano per ultimi, una vera cascata, una violenza, uno scroscio di conati, un rovescio di filamenti, la nave è tutta piena, tutta piena di vomito…

Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su…

20   La libertà (03:16)

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Di  RingoStarfish

 "Far finta di essere sani" è una gigantesca favola aneddotica del più grande lamento esistenziale della musica italiana.

 "Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono" – parole ultime di un artista unico.