Una sirena, un allarme. “Vivere, non riesco a vivere. Ma la mente mi autorizza a credere che una storia mia, positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà.” L’esordio è devastante. Un uomo rimanda il suicidio cercando di comportarsi in maniera “normale”, cerca di non dare nell’occhio. Si compra una moto, cerca una donna che come tutte si incremi le mani e cerchi d’esser fedele, tenta di salvarsi viaggiando lontano, in India o in Turchia, stando in coppia mano nella mano. Cerca di nascondersi, cerca di “Far finta di essere sani”.
Questo è il titolo di una delle prime opere “adulte” di Giorgio Gaber, una delle sue più complete e riuscite, degno trapasso dalla fase ironica e graffiante della Torpedo Blu e del Cerutti Gino, di più lieve sostanza ma non per questo deprecabile (anzi già irresistibile), a quella più matura e consapevole del “teatro-canzone”, di “Polli da allevamento” e “Libertà Obbligatoria“ per intendersi, col pieno raggiungimento del proprio messaggio artistico, quando contenuti e forme sono diventati alberi sempreverdi della nostra storia musicale.
L’anno dell’album è emblematico, siamo in quel 1973 della crisi petrolifera e quindi economica che portò alla cesura hobsbawniana tra l’età dell’oro del dopoguerra e la nuova età della frana, rottura culminata con lo sgretolamento dei buoni propositi sessantottini e l'emergere di sempre più forti dubbi sia sulla cultura capitalista-consumistica importata dagli States sia sugli ideali politici di lotte proletarie e rivoluzioni marxiste-leniniste che facevano guardare alla grande madre Russia come a un punto di riferimento. Gaber arriva prima di molti suoi conterranei sul luogo del delitto, il delitto delle illusioni, delle speranze, delle idee che avevano nutrito le generazioni da Presley ai Led passando per Dylan o Joan Baez. Prende la chitarra in mano e con forti dosi di motivato e giustificato cinismo ci sbatte in faccia la realtà. Ma conscio che questo ci urterà, ci farà molto male, addolcisce un vinile di venti cattivi pensieri con il suo proverbiale sense of humour, invitando anche l’ascoltatore restio a riflettere, a ragionare su se stesso, a entrare nel racconto.
L’ironia trasforma in una gigantesca favola aneddotica uno dei più grandi lamenti esistenziali che la musica italiana ricordi. Il Signor G. sta male, non esita a dircelo, piange, rantola su queste pagine di vita personale, ma essendo un essere umano ha in sé anche una facciata che lo fa reagire, che ci chiede di stare con lo sguardo in su, di far muovere la testolina e i suoi ingranaggi. La realtà dell’uomo borghese del XX secolo viene sottoposta meticolosamente ai raggi x dell‘intelligenza, tutto viene detto, inseguito descritto, stare a guardare il fumo che esce dalle sigarette, masturbarsi, impotenze fisiche ed intellettuali, amore, amore, amore, ma sappiamo davvero qual è quello vero? Vecchia maniera o nuova maniera di vivere? Ci han detto che dobbiamo formare coppie aperte, affidarsi alla scienza, parlare in inglese e leggere Gramsci, fare i gruppi di studio e le lotte di classe, trovare l’attico in centro a Roma, Milano, non sgridare mai i bambini, concedere tutto sennò crescono i complessi da adulto. Ma sarà tutto da accettare alla cieca? O dobbiamo tornare alla vita patriarcale-contadina, le sere al focolare col profumo di sugo, le cinghiate ai figli se non ubbidiscono? Tocca a noi fare il punto della situazione, analizzare quel che ci circonda (finché sopravvive) e scegliere individualmente quel che ci serve, quel di cui abbiamo bisogno. Capire cos’è un sentimento, quale dev’essere il ruolo del lavoro nella nostra vita, decidere cosa vogliamo farne della natura o delle medicine. Cosa ci soddisfa adesso? Forse nelle nostre giornate più apatiche dovremmo stare davvero a farsi un bello shampoo... “SSSSSSCende l’acqua, scroscia l’acqua, calda fredda calda… giusta… schiuma… soffice, morbida, bianca… la schiuma è una cosa sacra, come una vacca indiana… SSSSSciacquo!”.
Cos’è davvero la democrazia, esistono buoni e cattivi? Forse sì, ma non sono mai gli stessi, cambiano, e anche noi possiamo diventare un “cattivo” senza saperlo. “Non parlo dell’amore che sappiamo un po’ tutti… per amare io devo conoscere e amare me stesso... camminare in un posto, mangiare una cosa, sentire che sei in una stanza, adoprare le mani, toccare un oggetto, capire la sua consistenza, imparare a sentire il presente in un tempo così provvisorio“. Questo cantautore s’interroga con dolore, propone soluzioni, cerca rimedi collettivi, antidoti all’alienazione contemporanea. Non vuole essere finto, vuole sentirsi padrone del proprio corpo, sapere chi è, se e chi deve pregare, ammazzare, votare. E ci spiega i nostri dilemmi non limitandosi a cantarceli, ma iniziando a recitarli, come appunto una dolce amara commedia creata sulla base delle nostre vite. Cambiano i tempi, il formato, la struttura delle canzoni, che diventano piccole odi minimaliste e ingegnose, surreali tranci di musica surreale e sghemba, dove il registro alto si confonde anche drasticamente con quello più spiccio, immediato. "Perdo i pezzi ma non è colpa mia… dal treno ho perso un braccio salutando... mi dispiace, che c’avevo l’orologio... che distratto, perdo sempre tutto”.
Gaber sa essere un poeta che non ha niente da invidiare ai propri rivali-colleghi, ma ciò che lo rende unico è la sua capacità di poter vestire più registri, meravigliandoci continuamente. Qui lo vediamo comico cabarettista, cantante di grande livello, attore drammatico di consumata bravura, proclamatore di slogan politici inafferrabili e perfetti (è un partito che non esiste il suo, ma a cui tutti vorremmo aderire), intellettuale fulminante. Italiano e libero come pochi sanno esserlo. Non a caso le ultime parole che ci lasciò furono “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Lo dovremmo essere in molti come lui. PPPPPPPPhone…
p.s.: impagabile bonus track “La libertà”, per la quale non esistono commenti e nemmeno complimenti adeguati. Possiamo solo omaggiare con l’ascolto. E domani uscire di casa un po’ più consci di quel che siamo.
Elenco tracce testi e video
06 Lo shampoo (03:51)
Una brutta giornata
chiuso in casa a pensare
una vita sprecata
non c'è niente da fare
non c'è via di scampo
mah, quasi quasi mi faccio uno shampoo.
Uno shampoo?
Una strana giornata
non si muove una foglia
ho la testa ovattata
non ho neanche una voglia
non c'è via di scampo
devo farmi per forza uno shampoo.
Uno shampoo?
Scende l'acqua, scroscia l'acqua
calda, fredda, calda...
Giusta!
Shampoo rosso e giallo, quale marca mi va meglio?
Questa!
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.
[parlato]: La schiuma è una cosa buona, come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco: una mamma enorme, una mamma in bianco.
Sciacquo, sciacquo, sciacquo.
Seconda passata.
Son convinto che sia meglio quello giallo senza canfora.
I migliori son più cari perché sono antiforfora.
Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve
sembra panna, sembra neve.
[parlato]: La schiuma è una cosa pura, come il latte: purifica di dentro. La schiuma è una cosa sacra che pulisce la persona meschina, abbattuta, oppressa. È una cosa sacra. Come la Santa Messa.
Sciacquo, sciacquo, sciacquo.
Fffffff... Fon.
19 La nave (04:48)
La nave è come una nave
ed essendo una nave è abbastanza normale che vada in mare.
Il mare com’è naturale,
immobile e piatto è quasi perfetto sta lì sempre uguale.
La nave ha anche un motore
ed avendo un motore non sa dove va ma continua ad andare.
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.
La nave e sopra la nave
a parte le masse son tutti presenti gli amici e i parenti…
parlato: Manca solo il nonno, povero nonno…
Per tutti c’è un buon trattamento
ognuno ha il suo posto nel proprio recinto mi sembra anche giusto.
parlato: Prima classe, seconda classe, terza classe e poi le donne, i negri, eccetera, eccetera, eccetera…
La nave è una nave di classe,
il legno del ponte è dipinto di bianco è molto elegante.
parlato: "Bello questo ponte bianco, ah che bel ponte che abbiamo eh, un ponte bianco eh… non ho mai visto una nave rossa, un po’ volgare effettivamente…".
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.
Sul mare la nave biancheggia,
ha un fascino strano, così suggestiva anche quando beccheggia.
parlato: E’ un fascino che di dentro… mi sento poco bene però!
Ma basta distrarsi la mente,
usare il cervello, pensare un istante a qualcosa di bello.
parlato: Sì devo pensare a qualche cosa di bello che mi distraggo, che mi passa il mal di stomaco…
Vediamo un po’ cosa posso pensare… alla mia ragazza, sì a Maria. Ecco sì la vedo, la mia mano scivola sui capelli, sì va giù sulle spalle sì va giù sui seni sì va giù, ancora più giù… mi torna tutto su…
Il mare com’è strano il mare,
non è che non senta la sua poesia ma mi fa vomitare.
parlato: Devo pensare a qualcosa di più convincente… a un dolore, a un dolore enorme, al nonno, al povero nonno…sì il nonno ha sempre funzionato, dunque mi concentro, vediamo un po’.
Mio nonno morì tragicamente nel ’36 come Gozzano. Mi ero così affezionato, era massone, alto, bel portamento, coi baffi, col fiocco. Aveva sposato la zia di una biscugina, sì la Elvira, la ricordi?
Che vita povero nonno, ogni tanto spariva, bevitore eh, gran bevitore, a un certo punto il fegato… a pezzi, spappolato, putrefatto… sto male, mi torna il vomito, devo resistere, non voglio essere il primo, devo resistere.
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su.
Il mare è un po’ troppo vitale,
la gente si sbianca ma fa resistenza non vuole star male.
parlato: Pensate al nonno!
Sul ponte che è fatto a tre piani
in terza e in seconda e anche in prima si sentono rantoli strani…
parlato: No quelli di prima non me lo aspettavo…
Il mare diventa più grosso
dai piani di sopra su quelli di sotto si vomita addosso.
parlato: Una battaglia, una battaglia che cresce: quelli di prima vomitano su quelli di seconda, quelli di seconda su quelli di terza. Lo scontro è sfrenato, violento, la gente rimanda, reagisce, boccheggia, un prete esorta a volersi bene poi si inginocchia e vomita anche l’anima. Un carabiniere mi tiene allora mi puntello cerco di vomitare verso l’alto ma non ci arrivo. Quelli di sopra han la meglio, si sporcano per ultimi, una vera cascata, una violenza, uno scroscio di conati, un rovescio di filamenti, la nave è tutta piena, tutta piena di vomito…
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su…
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di blu
Un album inarrivabile per profondità di significati e intensità di interpretazione.
L'uomo è costretto a indossare una maschera di perenne soddisfazione per nascondere la propria inutilità.