"Che cos'è questo disco? Che cos'è?"

"Non lo conosci?"

"Mai sentito..."

"Beh, è difficile spiegartelo, dovresti sentirlo...."

"Per favore, provaci!"

"Mmm, direi che lo posso descrivere come un vomito di chitarre ipnotiche filtrate attraverso una lente che sta per svenire..."

"Oh! Sembra stupendo....Ma è un gran casino di rumore, dunque?"

"No, è matematicamente regolare, come una sinfonia antica..."

 Parafrasando Charles Bukowski, tentare di parlare d'avanguardia è come cercare d'inculare un gatto. Lo dico perché "avanguardia" è un termine che non ho mai particolarmente apprezzato o realmente compreso. Nel caso della musica, credo che un disco possa apparire o bello o brutto, non ci sono vie di mezzo. Personalmente mi piace la musica ben fatta, non mi importa affatto il genere. E se dentro ci sento anche dei guizzi inaspettati che mi sorprendono, ancora meglio. Perché credo che l'arte più in generale, attraverso tutte le sue forme, debba essere facilmente comprensibile e allo stesso tempo debba spiazzare. E solo in questo senso posso provare a definire cos'è l'avanguardia: è un modo di chiamare il guizzo più estremo e veloce della creatività artistica, è la punta del pugnale che ti arriva addosso all'improvviso, sono le nocche del pugno che ti viene sfoderato sulla faccia, è l'urlo a freddo che ti può svegliare di soprassalto la mattina presto. All'interno dell'avanguardia, la musica la fa da padrona. Perché dopotutto resta la forma più diretta di creatività, chiamando in causa orecchie, cervello, muscoli, lingua e dita. E parte bassa del corpo per coloro che amano sentirla in bagno.

E non credo ci siano molti dischi, parlando degli ultimi cinquant'anni, che hanno raggiunto questo fantomatico guizzo.

Alcuni gruppi musicali lo hanno fatto mischiando il vecchio con l'impensabile (Velvet Underground, Frank Zappa, Captain Beefheart, Brian Eno), altri invece l'hanno raggiunto lanciandosi verso una musica completamente fuori dal tempo (Faust, Residents, Popol Vuh). In un modo o nell'altro, tutti questi artisti hanno gettato le basi per i movimenti musicali degli anni successivi, rimanendo tuttavia gli unici a farne veramente parte. Credo che questo voglia dire "avanguardia": non pura masturbazione mentale, anche se innovativa, ma piuttosto anima e cervello (danneggiato). Studio ma anche Istinto. Luce e ombra. Razionale e irrazionale.

E di sicuro non si può non citare "The Ascension" di Glenn Branca, forse una delle ultime testimonianze di guizzo artistico musicale da molti anni a questa parte.

 PIEDI PER TERRA

"The Ascension" arriva relativamente tardi rispetto agli anni settanta e a tutti i capolavori citati precedentemente. Esce nel 1981 e rientra nella seconda ondata di gemme musicali, quelle degli anni ottanta di Foetus e Tuxedomoon, e tuttavia se ne distacca perché la sua natura è ancor più underground, e fortemente colta. Ha di certo qualcosa da spartire con la no-wave e la cacofonia rumorosa dei Teenage Jesus & The Jerks, dei Mars, dei DNA e dei Contortions, catturata nei live "No New York", ma questo vale più per i primi lavori di Branca. Qui l'approccio, oltre che punk, è genuinamente intellettuale. E con un colpo di coda, il buon Glenn dà il via al noise-rock vero e proprio, restando per sempre medaglia d'oro nel genere. Il "rumorismo" del disco è ottenuto con chitarre elettriche accordate in modo non convenzionale, accompagnate dalle percussioni, e il volume dei suoni è particolarmente alto. Ma, stranamente, questo caos elettrico è del tutto controllato, e non disturba eccessivamente l'orecchio. Questo perché abbiamo di fronte un rumorismo vincolato, che segue equazioni musicali precise. E' proprio il ritmo a svolgere il ruolo principale, frenando cavalcate eccessivamente acide: insomma, non c'è traccia di nubi di rumore alla Arto Lindsay o Royal Trux, anche se non viene dimenticata la potenza di Sister Ray dei Velvet Underground. Oltre alla batteria, sono gli impasti di chitarre a fungere da base ritmica, spesso anche più delle percussioni vere e proprie. Il rumore non è fastidioso, anzi, gradualmente si trasforma in una sinfonia, matematicamente cristallina. L'armonia generale è probabilmente dovuta allo strano ma efficace miscuglio di noise-rock, pop dell'East Coast e minimalismo d'avanguardia di Terry Riley e LaMonte Young. Proprio a mò di drone-music, c'è sempre una nota o un accordo che dà il via al brano, e questo viene poi suonato in modo continuo anche per tutta la durata del pezzo, determinando spesso la tonalità della composizione stessa. Ed è incredibile quanto creativo sia ogni singolo brano, ognuno a suo modo una sottile e devastante piece rumorosa, sempre collegato a quello che può essere definito "il piccolo esercito di chitarre" di Glenn Branca.

Cresciuto immergendosi nel punk, Glenn Branca qui diventa dottore-capo e dirige, suonando anche la chitarra, un quintetto di musicisti, tra cui il futuro chitarrista dei Sonic Youth  Lee Ranaldo (che imparerà molto bene la lezione del maestro), Ned Sublette e David Rosenbloom alle altre chitarre, Stephan Wischert alla batteria, Jeffrey Glenn al basso.

Il risultato è musica da camera per strumenti rock, e la precisione degli intrecci musicali è tanto magica quanto radioattiva. "The Ascension" ha raggiunto forse il picco massimo del rumorismo moderno, che non è né fine a se stesso nè composto da semplici riverberi improvvisati: qui il rumore viene realmente valorizzato, ha una sua anima e finalmente una sua logica. Branca è un folle direttore d'orchestra, che al posto della bacchetta ha un martello. La musica si evolve e respira, e le note sono potenti e umane, estreme e sfibranti. Cripticamente gustose.

"Lesson No. 2" apre subito il sipario incuriosendo l'orecchio dell'ascoltatore, e facendogli dire: "Mmm, ma allora c'è ancora qualcosa che non ho sentito e che mi può stupire!" In "The Spectacular Commodity" predomina la percussività e i cambi di tempo, mentre "Structure" è un breve ma intenso gioiellino branchiano, che finalmente comincia a far staccare i piedi da terra; dunque la quarta e penultima traccia, "Light Field (In Consonance)", presenta a turno tutte le chitarre, e la voce di una segue l'altra, quasi a creare un mulinello di echi; ora è tutto finito, ora siamo pronti per il brano finale, la title-track. Adesso siamo pronti a salire su.

 THE ASCENSION

Uno dei più bei pezzi di musica che ho ascoltato. Si viene sollevati da trame misteriose di ricordi ancestrali, e lentamente si sale verso l'alto , tra correnti inquinate di note. Siamo storditi. Le ali ci crescono sempre di più, sempre di più, e tuttavia non sappiamo verso che paradiso stiamo andando. Tutto fluttua e cigola, e intorno nuvole, fogne, smorfie, risate, ossa rotte. Mi ricordo che quando salii la prima volta tutto veniva da sé, ed io mi limitavo ad assistere, stupito. E dopo, lentamente, ma con un gigantesco botto, sono sceso di nuovo a terra. Ustionato e rigenerato. Non scorderò mai la mia prima volta. E se dovessi esprimere visivamente questo disco, mostrerei subito la sua copertina. Perché è una delle più belle che io ricordi, e rimanda tanto alla bellezza quanto al caos. Una sorta di pietà michelangelesca trapiantata nella vita moderna, per riflettere il carattere epico e metropolitano di questa ascensione. Giacche larghe stile eighties, cravatte a filo, una luce in alto a destra, e tanta, tanta voglia di muoversi in altezza, mentre i grattacieli di New York stanno crollando.

"The Ascension", ovvero "della fine dell'adolescenza e dell'inizio dell'età adulta".

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