Da tempo volevo occuparmi della creatura Godflesh plasmata da Justin Broadrick; colpevolmente quasi del tutto ignorata sul sito. Dopo aver contribuito alla nascita del Grindcore ed aver suonato in "Scum", esordio dei Napalm Death, l'ancora giovane Justin abbandona la band e forma i Godflesh insieme all'amico G. C. Green. "Pure" è il titolo del loro secondo lavoro sulla lunga distanza uscito nel 1992 e pubblicato dall' "Earache Records": disco che non ha nulla di "Puro", anzi si muove in territori musicali di una pesantezza che non conosce limiti.

Una copertina grigia ci introduce da subito nel torbido ed industriale suono creato dal duo; una mano morente coperta di terra o quant'altro cerca di venir a galla, fuoriuscendo dal gelido terreno che la trattiene. Sul retro un'immagine spettrale, fa da sfondo ai titoli degli otto brani che vanno a comporre questo vero e proprio monumento sonoro: a parer mio il loro lavoro migliore.

Sono le speculari "Spite" e "Mothra" ad aprire in modo micidiale l'album: una drum-machine sintetica ripetuta all'infinito che fa da sfondo al lavoro combinato di chitarra e basso: si crea in questo modo un muro sonoro assordante, mantrico, di proporzioni mastodontiche. Il cantato semi-growl di Justin, comunque sempre del tutto comprensibile, non fa altro che aplificare questo senso di oppressione che incombe nell'ascolto dell'intera opera.

Sono passati soltanto nove minuti e si è già a corto di fiato; ma bisogna per forza resistere ed andare avanti; si giunge alla title track che segna l'inizio del lato B del mio vinilozzo (ormai quasi del tutto consumato). Il suono delle chitarre diventa ancora più pesante, sofferto, con quel basso siderurgico che contribuisce non poco a rendere l'ascolto un qualcosa di apocalittico e disturbante; in alcuni momenti della canzone ci sento un qualcosa che mi ricorda molto da vicino gli Helmet, autori in quello stesso anno di "Meantime", autentica pietra angolare dell'Hardcore-Noise (Page Hamilton Santo subito).

Gli interminabili nove minuti di "Monotremata" ti affossano in definitiva maniera: una morbosa e funebre marcia, scandita questa volta dalla voce pulita del leader. Tutto è ancora una volta ripetuto ciclicamente, fino allo sfiancante e catartico finale che mi conferma una volta di più l'importanza e la grandezza della "Carne di Dio".

Avvicinatevi, anzi statene alla larga...DON'T BRING ME FLOWERS...

Ad Maiora.

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