Monto sul grosso carro delle meraviglie e osserverò tutt’intorno la bellezza con sollievo e ben differente suggestione dell’abituale.

No, non mi riferivo ai preliminari degli ormai imminenti fasti carnevalieri. La dimensione terrena sarà bene obliarla almeno per un istante. L’istante (si fa per dire!) che impiega il carro guidato dai GYBE a farvi misurare con mille intemperie che traggono alluvioni e flemmatiche quanto effimere quieti che dondolano i cuori agitati dei viandanti più temerari.
Questo implicano le alternanze soniche di questa musica che gioca sugli avvicendamenti delle dinamiche. Piano, forte, piano, pianissimo, piano, forte, fortissimo. E in questo potrebbe anche ricordare la musica classica. Ma il sospetto si scioglie quasi subito. I GYBE navigano nelle immensità del post rock intimistico che sfocia nelle partiture di Philip Glass(!?). Dura come definizione ma, in fin dei conti, potrebbe funzionare.

“Levez Vos Skinny Fists Like Antennas To Heaven” consta di quattro monumentali e solenni episodi da circa una ventina di minuti ciascuno. Il tutto diviso in due dischetti e confezionato in modo splendido. Tant’è che il cartonato del simil-digipack si compiace per l’ammirevole artwork.
Insomma nulla da consumare in un baleno. Nulla per cui godere dei riverberi allettanti dei bagni quando si intona qualche nota sotto la doccia. Questa opera (perché di opera si tratta, alla fine) ha ben altra caratura, con tutto il rispetto per l’orecchiabilità offerta dalla musica altra. Ha l’abilità (magniloquente quanto sia ma tant’è) di trasportare l’ascoltatore in inesplorati lidi.
Non li si conoscono, e se al principio ciò può intimorire, una volta sperimentati non ci si vuole più sottrarsene. Perché il resto, quello che si pensa di comprendere, è peggiore.

Certo è che non è un ascolto semplice. Sono brani che fanno della dilatazione il loro vero asso nella manica, ma anche il più riconoscibile limite, se vogliamo. È risaputo, d’altronde, che composizioni di questo genere esigono concentrazione più o meno proporzionale alla disposizione al viaggio che esse promettono.
Nonostante tutto, indurre a desistere non può che recare danno. Perciò non sconsiglierei questo prodotto nemmeno ai seguaci del punk, per dire un genere a caso. “Levez Vos Skinny Fists Like Antennas To Heaven” merita attenzione. E con esso i GYBE che ci permettono di temprare il più possibile la nostra immaginazione, basilare principio di chi insegue l’arte (vi dice qualcosa il nome William Blake?).

E poi, a conti fatti , i fedeli del post rock avranno fra le mani uno dei vertici assoluti del genere tutto. Gli indie-rockers avranno di che ardere per le esplosioni di feedback degne dei primi Mogwai. Gli alunni dei conservatori, con le orecchie soavemente rintronate, assimileranno il fatto che forse l’orchestra della Rai non è l’unica soluzione.
E tutto il resto intorno non necessiterà di altra spiegazione. Si accontenterà di un nobilissimo privilegio quale sognare ad occhi aperti. Piangendo per la sconfinata magnificenza.
Detto questo, non posso che mostrarmi loro riconoscente e risalire sul carro.

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