Undoing a Luciferian Towers.

Vedo un cielo chimico dalle sfumature grigie e rossastre dominare tutto. Vedo il cielo plumbeo ricoprire grattacieli ritti come obelischi, superstrade pullulanti di fari al led, fabbriche squallide e cancerose. Vedo il cielo ricoprire le acqua acide dei fiumi velenosi e gli alberi nudi e marcescenti. Sento il vento soffiare tra le finestre rotte dei palazzi ormai disabitati, attraversare stanze un tempo piene di vita, ma ora senza nessun segno di presenza umana. Il vento fischia come trombe cacofoniche e sassofoni distorti, librandosi nell’atmosfera caotica del futuro senza speranza. Sento la marcia funebre del collasso, il ritmico ed elefantiaco avanzare delle percussioni che schiacciano quel poco che è rimasto della città. Sento il trionfale rumore bianco che spazza via ogni minuscola forma di vita ancora attiva, e le chitarre sguaiateche come megafoni giganteschi annunciano che il futuro è arrivato, che la fine è ormai vicina.

Bosses Hang.

Cosa fanno tutte queste persone? Dove vanno così di fretta? Sembrano tante piccole formiche in apprensione, corde di violino tese e vibranti. Tante piccolissime persone che camminano come automi, immerse nei loro piccoli touch-screen in cui c’è dentro tutta la loro vita miserabile. Tante piccole persone dominate da pochi capi, ancora più piccoli e insignificanti. Piccole persone che vivono precariamente, che prendono a calci la vita pur di ottenere quei pezzi di carta minuscoli chiamati denaro. Piccole persone con brevi vite. Nell’aria frenetica e ansiogena, vibrano corde di chitarra palpitanti, prima deboli poi grosse poi di nuovo deboli, come fossero polmoni che respirano la poca aria sana rimasta. I violini gridano a quelle piccole persone di essere noi stessi, e non di essere comandati da loro! Un mantra di musica drone che, come un manifesto progressista, incita tutte le piccole persone a dominare, a non essere dominati! Armatevi di pale, pozzi e barricate! Non fatevi sottomettere! Lenta e pantagruelica, la musica riecheggia nei cervelli delle piccole persone, infondendo in loro un motivo per vivere, non sopravvivere. Illuminate la vostra breve vita! gridano gli strumenti in perfetta sintonia. Noi, non loro! gridano le chitarre noise. Noi, non loro! gridano le percussioni che come elicotteri da combattimento si avvicinano alla città solcando le scie chimiche del cielo grigio e opprimente. Noi, non loro!

Fam/Famine.

Senti laggiù, quella musica alienante. Ascolta il rumore della miseria e della carestia. Guarda come quei bambini sono costretti ad imbracciare il fucile, come fossero poliziotti cresciuti troppo in fretta. Guarda come tutto sta bruciando, lasciando dietro di sé un mondo opaco, fatto di cenere volatile e nerissima. Senti i violini dei bambini senza una casa, costretti a nascondersi come indifesi animali braccati dai lupi. Guarda, e ascolta la musica dell’apocalisse. Ascolta il rullante che ci rincorre per venire a prenderci ed ammazzarci tutti quanti. Ascolta, trema, urla di paura. Guarda le fiamme come sono alte, senti le fiamme che imitano il suono di gorgoglianti chitarre funeree. Guarda come tutto è trascurato, guarda come tutti sono nel panico. Senti i fiati suonare la marcia del funerale del pianeta. Guarda l’enorme bara per il mondo decomposto che noi stessi abbiamo ammazzato. Guarda. Ascolta. La percepisci la musica della fine del mondo? Hai paura? Lo senti il rumore che fa vibrare tutto? Ascolta il suono della fine, il suono del crollo definitivo.

Anthem For No State.

Non esiste più uno stato. Non esiste più il mondo. L’inno della nazione morente. L’inno di uno stato svuotato di tutto e riempito di putridume. Niente più alberi, niente più acqua, niente più vita. L’inno di una nazione ridotta a una storpia carcassa malforme, annegata in una pozzanghera ricoperta da uno strato di veleno chimico. L’inno di un mondo che noi stessi abbiamo distrutto, con la nostra fame di soldi, fame di ricchezza, fame di conquista. L’inno riecheggia nella nazione comatosa lento e possente, con le sue chitarre deformate, il suo battere di cassa lento, il basso pulsante e catramoso. Anche l’oceano sente il crescendo dell’inno del non-stato, della non-nazione. Ma l’oceano non è preoccupato, nemmeno quando un esercito di suoni noise e drone lo solcano come pirati pronti a dominarlo e annientarlo. All’oceano non frega un cazzo dello stato che muore, del mondo che implode, degli uomini che lo vogliono ammazzare. Perché l’oceano sta morendo proprio come tutto il resto. L’oceano sente l’inquieto percuotere dei tamburi apocalittici, ma se ne frega. Ormai è finita, e niente potrà far cambiare le cose. Nulla potrà far tornare indietro il tempo. Battete, rullate, graffiate, suonate forti e inquietanti, fate pure. Non c’è più stato, non c’è più oceano. Non c’è più mondo.

Come un fottuto film apocalittico che però è lo specchio della cruda realtà, i Godspeed You! Black Emperor sono tornati per annientare le nostre speranze di un mondo migliore. Il collettivo canadese capitanato dal dio Efrim Menuck ci regala questo manifesto antisocialista, un manifesto progressista e drammatico. Luciferian Towers è roboante, grandioso, politico, alienante e bellissimo. Coesi come non mai, integri come non lo erano da anni. Meno noise, più rock. Meno rumor bianco, più melodia straniante. Un post-rock vorticoso, epico, annientante. Una musica che assalta il cervello, che annichilisce le nostre menti. Un disco enorme, che conferma i Godspeed You! Black Emperor come gli ultimi musicisti ancora in grado di essere sovversivi, politicizzanti, propagandistici e profetici.

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