Il mio fotolog non funziona. O per meglio dire, tutti non funzionano; certo, a meno che i brasiliani non si siano tutti coalizzati per dominare ancora di più su questo vorticoso sistema di relazioni interpersonali a base di foto osè, meno osè, fintamente bohemiennes, fintamente artistiche, davvero belle, passabili, passate e frullati. Quale occasione migliore dunque di staccarmi per un attimo dalla catarsi che mi costringeva bava alla bocca e mani avvinghiate al mouse 24 ore su 24 in attesa che qualche sprovveduto di lingua ispanica commentasse una delle mie ultime foto.

Disco da recensire? Sicuramente i Grails. Sì sì, proprio loro, quelli che dipingono attraverso gli occhi di folle una qualsiasi festa da paese. Una sagra itinerante delle razze, dove frammenti di musica proveniente da ogni angolo del mondo, siano questi di ispirazione orientale, o tremendamente country o più filoeuropee, ma sempre e in ogni caso folk, si scontrano, si penetrano reciprocamente e si impastano in un miscuglio indefinibile di culture. Il tutto però, viene riveduto e corretto da una abbondante dose di post-rock, quello che in questo caso, anche a causa degli strumenti utilizzanti, riporta alla mente quello dei GYBE, anche se i tempi sono notevolmente ridotti, piuttosto che quello dei Giardini di Mirò (posto sempre che i Giardini di Mirò facciano post-rock).

Le tracce sono interamente strumentali, partono in sordina per poi abbandonarsi lascive a irresistibili crescendo, o in alcuni casi divagano verso soluzioni più proprie ad una jam session tra amici, forse tra gli episodi più riusciti, in cui nessuno dei musicisti pare certamente avere fretta di concludere la canzone o tenere obbligatoriamente incollato alle casse l'ignaro ascoltatore con innocui virtuosismi o melodie facilone. Anzi, è facile sentirli abbandonarsi a una totale anarchia del suonare viaggiando sui tasti del proprio strumento come durante un flusso di coscienza, inseguendo l'ispirazione, o semplicemente abbozzando per scacciare la noia qualche motivetto.

Musica semplice, povera, rustica, senza la pretesa di stupire le folle, e forse proprio per questo così originale. Musica che profuma di tempi andati, senza che questi siano Mulino Bianco style(izzati), fatta di accordi come Cristo comanda, Do, Re e tutti i loro amichetti, fatta con strumenti ricoperti da un dito di polvere, fatta da ragazzi che inconsapevolmente costruiscono una stupenda Arca di Noè della musica tradizionale sotto gli effetti di pesanti allucinogeni, che inconsapevolmente mettono in tutto questo una terrribile e tetra, malinconica solitudine. Come sperare nella gioia infatti, sotto un cielo che gronda brandelli di luce rossa?

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