Ho appena letto e commentato la recensione sui Naked Prey del "compagno" (nonche zozzone per eccellenza del sito) Pinhead; mi metto alla ricerca su Debaser di qualche pagina dedicata ai Green on Red, band segnalata dal buon Pinello nel suo scritto, e mi accorgo, con enorme rammarico, che sono quasi del tutto ignorati. A parte una vecchissima recensione del loro disco d'esordio sulla lunga distanza "Gravity Talks".

Urge mettersi all'opera caro il mio De...Marga...e rimediare nell'immediatezza.

La mia scelta cade sull'album "Scapegoats" uscito nel 1991; con una copertina quantomai bizzarra e spettrale che mi ricorda il mio amato Death Metal.

Ma le affinità con l'estremismo musicale qui si concludono (chissà quanti sospiri di sollievo da parte di molti); siamo di fronte ad un lavoro che tracima, da ogni singolo brano, di musica Country ed American Sound. Da subito dico che non raggiunge le vette di alcuni lavori precedenti, ma è un più che valido compendio uditivo per chi volesse iniziare a conoscere la band originaria di Tucson, Arizona. Stessa provenienza dei già citati Naked Prey.

Sono sempre i cavalli di razza Dan Stuart e Chuck Prophet alle sicure redini di un album che scorre via con disincanto, con assoluto piacere. Dieci brani per nemmeno quaranta minuti di durata. Si fanno aiutare dall'organo di Al Kooper, anche in veste di produzione, che si fa ben sentire in tutte le canzoni. Non manca nemmeno una toccante armonica, suonata da Tony Joe White, che rifinisce con puntualità e classe certosina la ballata dal notturno incedere "Two Lovers (Waitin' to Die)".

"A Guy Like Me" ha l'onore di aprire il viaggio nelle infinite pianure americane, con l'hammond del fidato Al a dettare i giusti ritmi agli altri strumenti; segue la delicatezza di "Little Things in Life": chitarra acustica e voce che ricordano molto da vicino il Neil Young di Harvest. "Gold in the Graveyard" è uno dei rari ed efficaci momenti elettrici; dominano sudate chitarre elettriche che questa volta spostano il sound dalle parti delle Pietre Rotolanti.

Un disco di frontiera, di confini, di spazi immensi, di deserto; che si conclude con le meravigliose note di "Baby Loves Her Gun". Semplicemente una delle ballate più belle mai scritte dai Green on Red.

Giustizia è fatta.

Ad Maiora.

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