Dopo un esordio coi fiocchi (un brano su tutti, la meravigliosa la suite “Symphony”), i germanici Grobschnitt (per maggiori info vi rimando all’ottima recensione dell’album omonimo su DeBaser) tornano due anni più tardi (1974) con “Ballermann”, un ambizioso doppio album (LP + un disco bonus contenente la suite “Solar Music”). Gli ingredienti sono grosso modo gli stessi del primo disco, ma miscelati in maniera diversa e ciò dà vita ad una creatura nuova e non ad una scialba riproposizione (come talvolta purtroppo accade). “Ballermann” è una sorta di concept album che racconta un fantastico viaggio che inizia in Africa e termina nello spazio infinito.

Il primo dei due LP presenta un’anima progressiva piuttosto spiccata, omologata al variegato panorama dell’epoca; in sostanza si può parlare sicuramente di un buon disco, ricco di spunti interessanti (sia musicali che provocatori), molto orecchiabile e godibile per larghi tratti, ma, personalmente, non lo trovo particolarmente illuminante, né tantomeno così innovativo.

Una presentazione in un imbarazzante “inglese teutonico” apre l’album, e solo dopo un minuto trova spazio (mai troppo presto) “Sahara” brano che mette subito in evidenza l’aspetto dissacrante e canzonatorio della band, a scapito a mio avviso della grande qualità che questo gruppo sa offrire. Si sale già di tono con “Nickel-Odeon” pezzo progressivo più convenzionale (per quanto si possano definire convenzionali i Grobschnitt) e strutturato, arricchito da elementi space rock ed elettronici, che vengono fuori soprattutto nella lunga parte strumentale. “Drummer’s Dream”, “Mornig Song” e “Magic Train” sono morbidi e orecchiabili brani di pregevole gusto. Il primo disco scorre bene, mi sbilancerei soltanto nel giudicare abbastanza monocordi le ultime tre tracce, nonostante la qualità indiscutibile della musica.

Il discorso cambia all’ascolto del bonus disc “Solar Music” vera gemma del progetto: si scopre immediatamente un suono più duro, una voce più graffiante, qualcosa di gran lunga più vicino al rock, che prende le distanze dalle melodie proposte in precedenza. I tempi si dilatano, tutto diventa più impalpabile ed etereo fino a toccare i confini della psichedelia, laddove, anche grazie ad un ampio uso dell’elettronica, lunghi silenzi, ripetizioni di suoni e parole, atmosfere ispirate al profondo e all’ignoto proiettano l’ascoltatore in un universo buio ed inquietante.

Tracciando un paragone cinematografico, mi vengono in mente film di fantascienza in cui, dopo una prima parte sulla Terra, tra le mura domestiche o in lidi sicuri, l’azione si sposta nello spazio siderale (“2001: Odissea nello Spazio” oppure “Solaris” per citare i più famosi), in cui tutta la sicurezza e la tranquillità precedenti sono inesorabilmente alle spalle.

Decisamente notevole l’accostamento dei generi “space” “psichedelia” e “prog”, che si intrecciano per formare un lavoro eterogeneo, che cambia registro in più di un’occasione spezzando quella leggera monotonia che rischiava di crearsi nella seconda parte del primo disco. “Ballermann” è un album storico che ha fatto (e farà) felici gli appassionati di tutti questi generi musicali storici.

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