ll primo cadavere viene accompagnato da un pizzico di tensione, una buona dose di mistero e un discreto quantitativo di sangue e violenza. Parrebbe l'incipit accattivante di uno di quei soliti thriller I.K.E.A. made in Scandinavia, alla “Uomini che odiano le donne”, che vanno tanto di moda al pari dei libercoli che affollano gli scaffali delle librerie commerciali. Dialoghi scarni e lapidari mentre la fotografia di una remota Norvegia invernale ci allieta gli occhi con immagini di rara bellezza: potreste abbisognare di un maglioncino perfino nel tepore primaverile di un cinema senza aria condizionata. Il secondo cadavere ha come colonna sonora il suono secco di un setto nasale e di una mandibola che si spaccano. La progressione di bipedi in posizione orizzontale aumenta con il terzo e il quarto in rapida successione con la furia di un padre, straziato dalla morte del figlio, alla ricerca di una sana e biblica vendetta da Antico Testamento. Dal sedile di uno spazzaneve gigantesco di sei tonnellate di peso (cfr. Duel di Steven Spielberg) costui troverà il modo di fare giustizia.

L'opera dopo questo inizio duro e granitico muta profondamente: emergono dialoghi brillanti, i ritmi si fanno più incalzanti e spiccano forti tinte grottesche che rendono la lunga progressione dei trapassi quasi divertente. È come se "Fargo" e "Pulp Fiction" avessero l'amore per una commedia nera con una buona dose di sangue, una trama sufficientemente arzigogolata con una ragnatela di personaggi che si incastra nel finale. Ma oltre a questo io ci ho trovato anche una punta di sarcasmo silenzioso alla Kaurismaki, molta autoironia con la quale il regista ha fotografato una serie di luoghi comuni sulla Scandinavia e sul mondo esterno.

È una commedia travestita da thriller e che, pur mantenendo un'alta dose di violenza, non vuole essere credibile; e lo fa con una serie di trovate geniali che vi faranno rotolare dalla sedia come quella del trafficante di droga vegano, la coppia di malviventi omosessuali, le discussioni sul welfare state e una serie infinita di piccole e gustose primizie volutamente fuori posto che mineranno irrimediabilmente la falsa struttura iniziale. Le scenografie sono curatissime: una sorta di Wes Anderson in bianco e nero, ed il contrasto cromatico viene utilizzato per marcare la differenza tra locali e stranieri, tra buoni e cattivi.

Kitano, Tarantino, Coen, Kaurismaki. Perfino Anderson. No, non credo proprio di poter definire l'opera di Hans Peter Holland innovativa ma mantiene equilibrio, è recitata molto bene con una accurata caratterizzazione dei personaggi (tra i quali spiccano Bruno Ganz, Stellan Skarsgård e Pål Sverre Hagen). Non scade nel finale, fa ridere di gusto e con classe.

Il titolo italiano, “In ordine di sparizione”, è come al solito da galera. Chiudo gli occhi e mi porta alla memoria un riso in bianco che ero solito ingurgitare da bambino per contrastare la diarrea che, puntuale, mi faceva visita dopo le abbuffate di dolci e schifezze varie. Incastonato nel palinsesto delle uscite cinematografiche tra redivivi lucertoloni giganti in terza dimensione e mutanti in incognito, anch'essi in terza dimensione, la suddetta opera, anche a causa del titolo poco invogliante, potrebbe passare inosservata. 

Sarebbe un peccato se la ignoraste, perché meriterebbe un passaggio al cinema. 

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