Gli Hardline sono un progetto dell’ex enfant prodige Neal Schon. Il chitarrista ha appena lasciato i Bad English e ispirato dall’ascolto dei futuri cognati Johnny e Joey Gioeli, rispettivamente voce e chitarra, decide di riproporre la fortunata formula. A completare la line-up vengono arruolati l’immancabile Deen Castronovo alla batteria e Todd Jensen al basso.

Il disco d’esordio del gruppo si intitola "Double Eclipse", esce nel 1992 ed è uno dei capisaldi dell’AOR degli anni novanta. Nulla di nuovo sotto il sole. Un rock che fonde energia e ricercatezza strumentale. Melodia unita alla potenza. Questo lavoro a quasi vent’anni di distanza risulta ancora dannatamente fresco ed attuale, impreziosito da arrangiamenti davvero curati e mai banali.

Il drumming fragoroso di Castronovo introduce “Life’s a bitch”, brano d’apertura energico e trascinante che culmina in un finale dominato da una chitarra intensa e folgorante. Segue la cadenzata e potente “Dr. Love”, sorretta da un riff avvolgente che prelude a un ispirato assolo del solito Schon. La successiva “Rhythm from a Red Car” è invece un pezzo più veloce, tra chitarre ruggenti e melodie radiofoniche. Il ritmo viene spezzato dalla passionale ballad “Change of Heart”, che corre sui binari del più vivido AOR, e che  esalta la voce e l’interpretazione emozionale del singer Johnny Gioeli. Ritorna l’energia con la seguente “Everything”, il primo dei pezzi composti in collaborazione con l’ex Journey Jonathan Cain, caratterizzata da un ritornello accattivante. “Taking me down” è un’altra canzone incalzante e tirata, con un refrain dove la chitarra fa il verso alla voce. Il disco prosegue con l’hit “Hot Cherie”, cover degli Sweetheart, che viene introdotta da tastiere atmosferiche per poi svilupparsi in un hard rock ispirato e trascinante. Probabilmente la migliore del lotto. Un basso martellante introduce “Bad taste”, brano dall’incedere quasi rock’n’roll. La successiva “Can’t find my way” è una raffinata ballad, con la solita prova magistrale del frontman e un motivo che si stampa indelebile nella mente.  
Arriva il secondo brano firmato Jonathan Cain, il mid-tempo dalle tinte folk “I’ll be there”. Il breve e malinconico strumentale acustico “31-91” prelude all’ultimo brano del disco, “In the hands of time”, una ballad drammatica e solenne, accompagnata dall’acustica di Schon.

E così pure questo lavoro verrà lasciato nelle mani del tempo. Siamo in pieno periodo grunge, la nuova rivoluzione culturale, e l’AOR è una musica agli antipodi. Melodie d’altri tempi. Il gruppo si scioglie dopo alcuni tour con Van Halen, Extreme e Mr. Big. E il pregevole singer Johnny Gioeli entrerà nella band del guitar hero Axel Rudi Pell. I tentativi di reunion del 2002 e del 2009, senza peraltro la partecipazione di Neal Schon, non risollevano le sorti della band. Che ci lascia questo piccolo ma brillante gioiello. E non è poco.

Carico i commenti... con calma