Questa recensione è dedicata a Simon King, batterista-propulsore della navicella spaziale Hawkwind dal 1972 al 1980, oggi impiegato in un'azienda municipalizzata londinese per lo smaltimento dei rifiuti urbani: grazie per tutte le ore di furioso "air drum" che abbiamo passato insieme.

Lo "Space Ritual Tour" si rivelò una sorta punto di non ritorno.

La giostra intergalattica, che tra il '72 e il '73 aveva fatto girare le teste degli space rockers della terra d'Albione, rappresentò la massima espressione dell'equipaggio capitanato da Dave Brock, non solo sotto il profilo prettamente musicale, ma anche e soprattutto quale realizzazione di quell'"esperienza cosmica" da sempre alla base della musica del gruppo. La band stava vivendo quello che si può definire il suo momento di maggior successo, eppure, una volta rientrata alla base, l'astronave Hawkwind si ritrovò nuovamente a fare i conti con quella sorta di "sindrome da porta girevole" che da sempre ne aveva condizionato le vicende.

Fin dal momento della sua costituzione (avvenuta una manciata d'anni prima all'interno della cornice del quartiere di Notting Hill), la band aveva, infatti, fatto proprio il modus vivendi delle comuni hippie di fine anni '60, al punto da assumere le vesti di una sorta di famiglia allargata, dalla quale ciascuno era libero di allontanarsi e alla quale ognuno era libero di tornare. Nessuno, però, avrebbe potuto prevedere quali sarebbero state le conseguenze di quella piccola rivoluzione che attendeva il gruppo agli inizi del 1974, alla vigilia delle registrazioni del quarto album di inediti.

La band dovette fare i conti, anzitutto, con la defezione di Robert Calvert, lo scrittore-poeta che, nella sua qualità di paroliere, cantate, narratore di derive spaziali e stewart di astronavi sotto attacco, era riuscito a rincoglionire più o meno tutti i membri della band con le proprie fisse fantascientifico-apocalittiche, e che proprio in quel periodo era impegnato nel progetto solista "Captain Lockhead & The Starfighters". Per dovere di cronaca, va detto che la momentanea assenza del proprio "padre spirituale" non dovette generare particolare scompiglio nella band: le leggende descrivono Calvert come un personaggio certamente dotato di grande creatività, ma dalla stabilità mentale di un cucciolo di cobra, dallo spirito nomade, irrequieto, abituato a sparire misteriosamente anche per lunghi periodi.

Ben più traumatico, se non altro sotto il profilo musicale, si rivelò pertanto essere il secondo abbandono, quello di Dik Mik: ex batterista, amico di vecchia data di Brock, unitosi alla band come "tuttofare" e successivamente arruolato quale addetto a quegli strani aggeggi detti "audio generator" cui va imputata tutta quella serie di effetti, effettucci ed effettacci che da sempre sollazzano gli Hawkwind fans. A rinfoltire le spiumate fila del combo, venne chiamato nientepopodimeno che l'illustre Simon House, ex violinista di High Tide e Third Ear Band, il cui arrivo finì inevitabilmente per intaccare alcuni degli equilibri che col tempo si erano creati all'interno del gruppo.

In una parola: House portò "ordine" ove prima vi era il chaos.

Non a caso, "Hall Of The Mountain Grill" si presenta sin dal primo ascolto come un album molto più "strutturato" rispetto ai suoi immediati predecessori. Il baricentro musicale del gruppo pare discostarsi dalla "non-forma canzone" delle inestinguibili e "malleabili" jam cosmiche, per essere ricondotto in impalcature sonore più tradizionali, costruite sull'ordinato alternarsi di strofe e ritornelli. A partire da questo disco, inoltre, l'Hawkwind sound si caratterizza per un taglio decisamente più sinfonico ed orchestrale: la chitarra di Brock sembra quasi voler rimanere nelle retrovie per lasciare spazio agli strumenti melodici, preferisce farsi dilatare e diluire dai delay, puntare su distorsioni più morbide su un riffing meno aggressivo.

Complice anche la momentanea assenza del paranoico Calvert, la band pare prendere le distanze da certe atmosfere ossessive, da certe visioni apocalittiche che avevano caratterizzato i precedenti lavori: la "tempesta cerebrale" lascia metaforicamente posto a un "vento di cambiamenti", in cui il violino di House (impegnato anche al sintetizzatore e alle tastiere) si sposa con i fiati di Nik Turner e alle tastiere di Del Dettmar per dipingere paesaggi sonori epici e romantici, pervasi da una melodica poesia del tutto nuova, talvolta addirittura eccessivamente enfatica, soprattutto se paragonata a quanto fatto sentire sino ad allora dalla band ("Winds Of Changes", "Hall Of The Mountain Grill").

Eppure "Hall Of The Mountain Grill" è un album che non taglia del tutto i ponti con il recente passato. In "You'd Better Believe It" la band pare per un attimo ritrovare il proprio furente marchio di fabbrica fatto di interminabili ed ossessivi 4/4 in battere, riffing serrato e psichedelia, da riplasmare e stravolgere in sede live. La premiata coppia Kilmster-King ci regala l'ennesima prova di una seziona ritmica esaltante per dinamismo e potenza propulsiva. Addirittura Brock si concede il vezzo di una nemmeno troppo velata "autocelebrazione", riproponendo le melodie di due grandi hit quali "Lord Of Light" (da cui viene tratta ispirazione per le linee vocali dell'ottima "Paradox") e "Space Is Deep" (di cui "D-Rider" pare essere la versione fattona).

La verità, forse, sta nell'ammettere che, nel momento in cui "Hall Of The Mountain Grill" vedeva la luce, molto era cambiato e molto ancora doveva cambiare all'interno della famiglia Hawkwind. Con la fuoriuscita di Dik Mik, la band perdeva gran parte della propria componente "freak", caotica ed imprevedibile. Di li a breve, anche Dettmar (forse consapevole di quanto l'arrivo di House avesse reso superflua la sua presenza in qualità di tastierista), se ne sarebbe andato. Il successivo album ("Warriors At The Edge Of Time" del '75) sarà l'ultimo prima della cacciata di Lemmy. L'ultimo pubblicato dalla United Artists. L'ultimo prima che Stacia, la Grande Madre Popputa di tutti gli space rockers, decidesse di ritirarsi a vita privata.

Forse, la verità è solo che la stagione dei grandi viaggi interplanetari stava giungendo al termine.

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