Dice il proverbio che non è tutto oro quel che luccica. "Quel che luccica", in questo caso, è un romanzo che viene unanimemente riconosciuto capolavoro e che fa incetta di premi e riconoscimenti. Pubblicato nel 1971, "Gruppenbild mit Dame" (questo il suo titolo originale) si rivela un best-seller e procura al suo autore, Heinrich Böll, il Premio Nobel per la letteratura nel 1972. Si tratta senz'altro di un'opera imponente ed ambiziosa: l'ormai maturo Böll, all'epoca ultracinquantenne, canalizza tutti i suoi sforzi e il suo talento per superare sé stesso, probabilmente consapevole di aver raggiunto la compiutezza stilistica con lo straordinario, impareggiabile "Opinioni di un clown" (1963), e dà alla stampa questo "Foto di gruppo".  La mia opinione è che il renano abbia fatto di meglio. Spiace dirlo, soprattutto quando si è consci che l'opera presa in esame sia il tentativo da parte dell'autore di fare il proprio meglio. Sarà che ambizione non sempre fa rima con perfezione, sarà che "Opinioni" non è un semplice romanzo, ma un imprescindibile pezzo di letteratura del Novecento che in ogni caso avrebbe rappresentato l'insuperabile vertice della produzione bölliana. Ma andiamo con ordine.

Böll smette i panni del narratore onnisciente e dell'io narrante per intraprendere una nuova forma di scrittura: il narratore, che nel libro si fa chiamare semplicemente A. (autore), è un cronista che raccoglie testimonianze e citazioni e riporta documenti ufficiali (alcuni realmente esistiti). L'indagine vuole delineare una sorta di biografia imparziale (ma l'A. non riuscirà sempre a celare i suoi punti di vista) di Leni Pfeiffer, una donna bella e sensuale,  che al momento della ricerca, avvenuta nel 1970, ha quarantotto anni. Si apprende così che Leni, nata Gruyten nel 1922, è figlia di buona famiglia borghese. Ella trascorre la giovinezza frequentando senza particolare dedizione un istituto religioso, in cui resta affascinata dalla figura di suor Rahel, monaca eccentrica ed anticonformista che nel tempo diventerà sua amica e guida spirituale.

E' inoltre significativa anche la profonda amicizia con la coetanea Margret, uno dei teste più gettonati nonostante le cattive condizioni di salute in cui versa (ha contratto alcune malattie veneree prostituendosi). Leni ha sempre nutrito una profonda ammirazione per il fratello Heinrich e, adolescente, s'invaghisce, peraltro ricambiata, del cugino Erhard, senza però concretizzare mai questo sentimento. All'alba della guerra, Heinrich e Erhard partono per il fronte e muoiono: è l'inizio di una serie di sciagure che porteranno la famiglia Gruyten nel baratro. Leni si sposa con Alois Pfeiffer, un firmaiolo dell'esercito: un'unione piuttosto di convenienza e senza amore, almeno da parte di lei. Più o meno contemporaneamente alla morte di Alois, anch'egli caduto in guerra, il padre di Leni, un imprenditore edilizio, viene accusato di speculazione. La ragazza si vede costretta a cercare lavoro e lo trova in una fabbrica di ghirlande e corone mortuarie.

Il suo datore, Pelzer, si innamora perdutamente di lei, ma Leni inizia una rocambolesca relazione con Boris, un rifugiato politico sovietico. Per amore di lei, comunque, Pelzer difenderà i due nuovi amanti dalle invidie e dalle malelingue del posto di lavoro, renderà possibile la loro unione e sarà addirittura testimone al battesimo del loro figlio Lev: tutto questo alla fine della guerra, mentre infuriano i bombardamenti e le esecuzioni. Nell'immediato dopoguerra, periodo in cui hanno inizio la drammatica divisione tra est e ovest e conseguenti ostilità tra le parti, Boris viene scoperto dalle autorità, che puniscono la sua "clandestinità" trasferendolo in una cava di pietre, dove, manco a dirlo, troverà la morte. Leni si chiude sempre più in sé stessa, in una malinconica solitudine, e sarà ad ogni modo sempre oggetto di scherno e maldicenze per via della sua relazione con un "nemico" dell'Occidente.

Avendo messo in particolare rilievo gli anni del secondo conflitto mondiale, l'A. non riserva molto spazio agli ultimi due decenni: si sa, comunque, che Leni vive con una coppia di giovani, per motivi di privacy chiamati Hans e Gretel, che il figlio Lev sta scontando una condanna in carcere per frode, che su di lei, sempre più impoverita e abbandonata a sé stessa, gravano pesanti minacce di pignoramento, che comunque ha da poco iniziato un nuovo legame amoroso con un immigrato turco di nome Mehmet, dal quale aspetta il secondo figlio.

Böll distilla ancora una volta la sua ossessione: la guerra e i suoi effetti devastanti sulle vite delle persone, stanche, annichilite, provate da un'interminabile serie di lutti. Non a caso tutti i personaggi descritti, al di fuori dei due giovani inquilini di Leni, Hans e Gretel, e del figlio venticinquenne, hanno vissuto in pieno gli anni del secondo conflitto mondiale. E' ad ogni modo un romanzo di ampio respiro, che, nonostante sia maggiormente concentrato sugli anni della belligeranza, seguendo la vita della protagonista tratteggia per sommi capi mezzo secolo di storia tedesca, dalla Repubblica di Weimar al Sessantotto. Eppure, se ci si concentra solamente sulla lettura, Böll risulta così "monumentale", come lo definì Bevilacqua, così volutamente ostico da sembrare a tratti innaturale.

La sua narrativa è sempre stata raffinata, ha sempre richiesto un certo impegno, ma questo libro a volte si rivela davvero una sfida alla pazienza del lettore. Non è da escludere che Heinrich Böll, così importante ed autorevole per le generazioni future, sia stato a sua volta influenzato da un altro nome importante della letteratura tedesca del secondo Novecento, Günther Grass, dieci anni più giovane di lui. Ma la prosa sovrabbondante e particolareggiata all'inverosimile per Grass è una naturale ed originale propensione stilistica, mentre a "Foto di gruppo" conferisce una patina di pedantesco calligrafismo. Ad esempio, trovo ambigua la scelta di attribuire a tutti i testimoni notevole abilità dialettica e lessico forbito, senza fare distinzioni di età, professione ed educazione, cosicché gli interventi sembrano più dei monologhi di intellettuali che dei semplici racconti di vita vissuta. Viene spontaneo chiedersi: perché? Per qual motivo rendere alcune caratterizzazioni così sociologicamente improbabili? A questo punto risulta chiaro un certo autocompiacimento.

Finora abbiamo elencato i difetti, se così li vogliamo definire. E i pregi? Beh, in verità negli stessi motivi che rendono questo romanzo controverso e non del tutto riuscito risiede il suo stesso fascino. Non avrà la spontaneità di "E non disse nemmeno una parola", non sarà dolorosamente sincero come il già citato "Opinioni di un clown", ma resta un'opera comunque meritoria, ammirevole soprattutto per la compiutezza formale. E' inoltre da considerare che queste inedite e in parte poco condivisibili scelte stilistiche non fossero state intraprese soltanto per bizza: non era facile, in piena Guerra Fredda, esporre i propri punti di vista senza riserve e non rischiare la censura o addirittura la persecuzione politica, soprattutto in Germania, che per l'appunto era il fulcro di entrambi i blocchi. La scelta di affidare la narrazione ad una voce super partes e di riportare punti di vista diversi permette all'autore di non prendere troppe posizioni e di esporsi così ai suddetti pericoli. E' notorio comunque che lo scrittore fosse indignato dai pregiudizi e dalle tensioni che imperavano in quel periodo: lui stesso fu accusato di simpatizzare con il terrorismo a causa delle sue amicizie con intellettuali del blocco sovietico.

"Foto di gruppo con signora" ci presenta l'autore in una veste rinnovata: sì caustico e ficcante come sempre, ma in modo più sottile ed implicito rispetto al passato. Ed è, indubbiamente, l'ennesima  grande prova di alta levatura intellettuale. E' arrivato il momento di decidere: "quel che luccica" è ancora una volta oro? Sì, anche se non del più puro e sopraffino di marca Böll. E' dunque impossibile, un po' anche per timore reverenziale, non approssimare per eccesso e dare il massimo dei voti.

Carico i commenti... con calma