Henry Miller - Tropico del Capricorno - 1939

Quando si pensa ad un grande narratore, ad una grande e fluente prosa, a ciascuno di noi può venire in mente chiunque, in base alle proprie esperienze personali e alle letture che hanno accompagnato un cammino di crescita culturale e letteraria.
Personalmente credo che Henry Miller sia quanto di meglio e coinvolgente si possa leggere. Tra i suoi innumerevoli testi, quasi tutti di carattere fortemente autobiografico, ho scelto "Tropico del Capricorno" un libro che riesce a sconvolgere ogni struttura mentale grazie ad una forza di penetrazione ineguagliabile. Questa forza è determinata dall'immensa capacità dimostrata dell'autore nel saper raccontare episodi di vita vera e vissuta in maniera totalmente priva di substrati menzogneri o artificiali.

"Quest'uomo sa tutto di me, ha scritto tutto questo per me ... "
George Orwell, commentando alcuni scritti di Miller.

Ecco l'essenza dell'opera milleriana e che si ritrova in via massimale in questo testo.
Quello che ha saputo fare Miller nel "Tropico del Capricorno" è entrare in confidenza con ogni nostra sfaccettatura e spiegarcela come se ci conoscesse intimamente, facendo della sua esperienza, l'esperienza di tutti.
Miller, narrando le proprie vicende, racconta dell'uomo comune, racconta della sua New York malata degli anni venti dello scorso secolo, con vari flash back, dove lavoro, famiglia, fanciullezza, sesso, pensieri, soldi sono un tutt'uno per confermare un'esistenza che si trascina, che rotola ai bordi della disperazione e dove chi ha potere e non lo sa gestire è una nullità al pari di chi quel potere lo vorrebbe avere. E' il racconto nel nulla, che come una nuvola lenticolare sale roteando, raccogliendo i diseredati, i nullafacenti, gli ubriaconi, ma anche i ricchi e potenti in una globalità che ci fa capire che tutti siamo uguali sotto un cielo uguale e scaldati, talvolta, dallo stesso sole. Nell'opera di Miller non c'è falsità e tutto è scevro da moralismi, così il racconto del sesso è pari al racconto della ricerca di lavoro, il postribolo è trattato alla stessa stregua del colloqui di lavoro o della passeggiata al parco. Questo ha, ovviamente, causato infiniti guai censori a Henry Miller e questo libro, pubblicato nel 1939 durante la fuga e il soggiorno parigino, fu ritenuto immorale negli Stati Uniti e la sua pubblicazione fu sbloccata solo nel 1961, grazie ad un giudice che ebbe il coraggio di leggere le sue opere e, finalmente, definirle: "Non oscene".

"Una volta mollata l'anima, tutto segue con assoluta certezza, anche nel pieno del caos. Dal principio non fu mai altro che caos: un fluido che mi avviluppava, e io vi respiravo per branchie. Nei substrati, dove la luna brillava ferma e opaca, era liscio e fecondo; sopra era frastuono e discordanza. In tutte le cose io vedevo subito l'opposto, la contraddizione, e fra il reale e l'irreale l'ironia, il paradosso. Ero io il mio peggior nemico. Nulla c'era che volessi fare e potessi anche non fare."

Questo è l'incipit dell'opera. Una serie di coltellate al cuore del lettore, che non può fare altro che capire come queste frasi siano il distillato dell'esistenza stessa, dove specchiarsi in atto narcisistico, ma perdendo arroganza e falsità, nudo a confronto con il sé più interiore, in una scrittura totalmente libera da ogni doppiezza narrativa, calato, col proprio io, nell'avventura della vita.
Il sesso, che tanti guai giudiziali ha causato a Miller, è strumento e se spesso è usato senza parsimonia è perché è così nella vita: se la pornografia è il sesso degli altri e gli altri siamo noi, il cerchio è bello che chiuso. Il poutpourri tentacolare di ricordi e di descrizioni ora crude ora poetiche, fanno sì che il sesso, pur esplicito e sorretto da una narrazione e da uno stile esplosivi, diventino espediente metaforico e catartico, mai didascalico.

Questo è un romanzo fondamentale non solo della letteratura americana: la sua universalità è dettata, semplicemente, dalla verità. Vero Capolavoro.

Sioulette

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