Terzo e ultimo disco per la Rockit band della premiata ditta Hancock-Laswell, che dopo l'ottimo "Future Shock" e il mediocre "Sound System" tira fuori "Perfect Machine" (1988). 

L'andazzo è sempre lo stesso: ritmiche futuristico-minimali, effetti spaziali, robo-vocoder.. la novità risiede nel ritorno delle sonorità funk tipiche del repertorio hancockiano anni settanta: i groove nella fattispecie sono sincopati e travolgenti quasi come nei migliori "Thrust" e "Head Hunters", merito anche del bassista -ex Funkadelic- Bootsy Collins e dei vocals di Sugarfoot (Ohio Players). Herbie si muove tra piano, vocoder e sintetizzatori oramai entrati nel museo del vintage, programmati per dare quel suono spaziale più marcato rispetto ai predecessori. che mettevano in risalto soprattutto il battito ripetitivo delle drum-machine.

Già dalla prima "Perfect Machine" si nota questo tocco più funky, il groove è da paura: Hancock piazza poche ma incisive note di pad e synth suonando come si trattasse di un pezzo synth-pop; gli scratch di Grandmixer D.S.T. sono ancora una volta uguali a quelli di Rockit, ma stavolta riescono a completare perfettamente lo stilosissimo vocal vocoderizzato e le ritmiche simil-industriali (più ricche del solito) programmate con l'ausilio dello storico Farlight da Nicky Skopelitis, che tira fuori un ottimo beat anche su "Obsession", traccia trainata da un grande Sugarfoot al mic, assistito da una valida base composta da glitch primordiali, laser, e uno scratching quadrato che va a completare la stessa ritmica, fungendo come una sorta di rullante. Viene girato anche un tamarrissimo video per la più orecchiabile e quasi ingenua "Vibe Alive" dove ancora una volta Sugarfoot si dimostra perfetto per il funk digitale della band! Su "Beat Wise" il basso elettrico di Collins si mischia alle moog-bassline curate da Mike Lane, l'effetto doppiobasso è ottimo nel completare un groove ancora una volta ricco ed incalzante, forte anche di un Hancock molto presente in fase di accompagnamento (e non lo sarà mai moltissimo).

Il classico "Maiden Voyage" viene qui riproposto in chiave electro: la ritmica è riuscita e vi si possono trovare diversi ottimi spunti soprattutto per quanto riguarda rumoristica e impostazione vocoder; Hancock nel bel mezzo del delirio futuristico tira fuori il vecchio Fazioli e piazza l'unico assolo di tutto l'album: inutile dire come non sia molto adatto al contesto.. tuttavia il rifacimento si puo dire non eccessivamente profano. Chiude "Chemical Residue" una ballad electro-fusion che si fa notare per i cori simil-gregoriani e una sezione ritmica molto originale con suonetti minimali ad imitare il classico andamento di ride del jazz.

Se volete approfondire l'Hancock electro-breakers-oriented ma Rockit vi è sembrata troppo ripetitiva, questo è il disco più adatto e accessibile. 

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