Non so se anche a voi è mai capitato di cliccare quasi per sbaglio sui video di quelle canzoni che capisci subito servano a scalare le classifiche e fare soldi pur strappando lacrime e, per quanto possibile, un minimo di riflessione dalla testa di quei pochi giovani non ancora dotati di un cervello fulminato da Sfera Ebbasta o deficienti del suo calibro. Andrew Hozier Byrne è autore di diversi di questi brani. Irlandese, ventottenne, chitarrista e cantautore meramente appartenente al filone indie/pop rock ma a suo dire influenzato dal blues, dal soul e addirittura dal gospel. Esordì da corista, poi, nel 2013, lei: "Take me to Church", l'ostracismo a una storia omosessuale provocato da alcuni estremisti russi narrato in 4 minuti di organino, contrabbasso e chitarra elettrica. Una perla di rara intensità, magistrale come interpretazione vocale e anche come composizione. Il coraggio usato nel provocare (seppur con un minimo di limitazione) Hozier lo ritenta in "Cherry Wine", brano che con arrangiamenti che a contrasto mettono la musica popolare con la delicatezza e la raffinatezza delle parole scelte per un testo che si schiera contro la violenza domestica, mentre "Someone New" usa arpeggi folk di chitarra per vivacizzare amori solo apparentemente inutili perchè una metà della coppia non ricambia. Naturalmente poi prendono vita nel disco anche altre diversissime sfere sensoriali a livello musicale e letterario, complice il continuo studio dell'autore che ha i suoi frutti: dai cori gospel in sottofondo a "From Eden" (che, oltre a un particolare uso della chitarra, trae anche ispirazione a tratti dalla musica celtica) alle ballate blues con assoli dalle tessiture gravi che sfiorano il dark (My Love Will Never Die e Work Song) che pur non convincendomi proprio per niente (fatto di gusti e di orecchio) dimostrano che Hozier non studia solo da cantante ma anche da musicista. E la competenza viene fuori. E poi vi sono romantici rituali pop (It Will come Back) o sfumate sensazioni liriche (Sedated) o addirittura preghiere in musica pop come "Like Real People Do". Avendovi elencato solo parte delle singole sfumature emotive che provoca l'album d'esordio di questo giovane artista irlandese, vi posso dire che sì, merita un ascolto. Quel che non vi ho citato non ha niente di speciale o semplicemente mette ben visibile l'immagine di brano fatto per fare soldi o quanto meno non ha nulla di speciale che lo differenzi da altri brani del disco o di altri artisti. Seppur abbia creato aspettative troppo alte, "Take me to Church" non ha nulla di una canzone commerciale, anzi. Ed è strano, ma è così. Hozier non è uno sprovveduto, se a 28 anni è in grado di mixare con raffinatezza così tante sfere tematiche e musicali, assolutamente possiamo avere buone aspettative per il suo futuro. Chiaramente non ha senso parlare adesso di un nuovo Elton John, ma sicuramente le competenze di quest'artista sono alte, per quanto mi riguarda ben più di quelle di un novellino come Ed Sheeran. Il voto che va all'album si motiva con diversi difetti: una coerenza d'insieme non sempre presente, non pochi brani simili tra di loro e una prestazione vocale che talvolta perde di estensione e qualità dove serve. Ma il giovane promette bene. E speriamo continui così.

Carico i commenti... con calma