Gli Hard Rockers J. Loren ed Evan Johns s'incontrarono dopo che il padre produttore di Johns, Andy, aveva ascoltato una Demo di Loren rimanendo intrigato dalla voce del cantante. Sentendo che Loren stava cercando un batterista, Andy Johns convinse i due giovani musicisti a mettersi in contatto, dopo qualche tempo passato a provare insieme decisero che il rapporto avrebbe avuto un seguito. Ben presto il chitarrista Paul Spatola e il bassista Joshua Ansley si unirono a loro (Loren suona anche la chitarra e il violino, mentre Johns aggiunge il pianoforte) e cosi gli Hurt furono completi.

Nome sinistro (Hurt = Male) per questa band, tanto particolare quanto intrigante, proveniente dagli States (N.J.). La copertina completamente nera dell'album (fatta eccezione ovviamente per il nome del gruppo e del disco) dà subito l'idea di qualcosa di profondo o in ogni caso difficilmente identificabile (la radice del male, inteso come malessere esistenziale) e, in effetti, descrive in pieno l'essenza di questa proposta musicale.

Gli undici brani che compongono "Volume 1" sono un concentrato di vari stili: Emo, Prog, Grunge e non mancano le influenze di gruppi di spessore (Tool, Alice in Chains, Metallica), il che potrebbe far pensare ad un modo escogitato per ingraziarsi una buona fetta di pubblico, ma il risultato complessivo è discreto e l'intesa del quartetto omogeneizza l'opera rendendola scorrevole e gradevole per l'intera durata. Ogni canzone ci trasmette sensazioni robuste in un mix d'estremi, declina ed esplode sull'onda di chitarre appiattite, pesanti, strimpellamenti acustici, caos elettrico, voci bisbigliate, grida gutturali ed armonie che dolcemente riportano la calma. Altresì le canzoni più corte giocano su parti multi-segmentate che danno una sensazione di fugacità che coinvolge costantemente l‘ascoltatore. Tutto è pesato bene, non ci sono parti affrettate o prolisse, l'unico difetto (per lo meno disprezzabile per qualcuno) è l'ambiguità e la stranezza che pervade come una ferita, l'intera opera, ma proprio questa sensazione oscura funge da arma vincente per soddisfare molti orecchi che potrebbero francobollarsi alle casse.

Il disco apre con Shallow mostrando subito la profondità vocale di Loren ma anche il carattere introspettivo e confessionale che contraddistingue il cd, il secondo brano è Rapture (da cui è stato realizzato un video la cui visione è consigliata) canzone ricca di pathos che sale di tono progressivamente, si passa poi dalle nostalgiche Overdose e Falls Apart ad una canzone più tirata come Forever, in Losing si nota la presenza di violino e strumenti a fiato, con Unkind, Dirty e Danse Russe è riproposto il contrasto fra toni irritati e calmi, molto sentite anche l'acustica Cold Inside e la conclusiva House Carpenter dai caratteri prog che chiude l'apoteosi artistica degli yankees.

Questo è un disco per tutti e per nessuno, buono per chi non si lascia trarre in inganno dall'apparente commercialità della proposta e sconsigliato a chi cerca un prodotto immediato e superficiale usa e getta. Un disco studiato ma anche spontaneo, tanto semplice quanto raffinato, che desidera essere ascoltato e compreso, un sasso lanciato nella più profonda oscurità che magari vi colpirà.

Non so se sono stato abbastanza chiaro, il cd comunque vi soddisferà più della mia recensione sicuramente.

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