Il prog è morto! Il prog è risorto! Viva il prog!

Questo mi viene da gridare allegramente ogni volta che scopro qualche nuova band che sbuca fuori dal nulla per rinverdire in qualche modo i fasti di un genere che sembra ogni volta rinascere dalle proprie ceneri.

Che poi c'è prog e prog: questo gruppo italiano al debutto con un breve album autoprodotto sembra rifarsi da un lato ad una certa tradizione nazionale blasonata da nomi come Le Orme e Corte dei Miracoli, dall'altro al tastierismo classicheggiante e barocco degli EL&P; e di fatto non aggiunge nulla di nuovo a quanto si ascoltava quarant'anni fa. Ma si sa... la fede nel prog necessita di esprimersi attraversi tutta una serie di iconografie sonore e di elementi di riferimento, per cui un vero rinnovamente è possibile solo in parte.

Di questi I Guardiani dell'Abisso si sa poco e niente. I membri stessi utilizzano nomi di fantasia dall'eco mitologico e le note di copertina non aiutano a farsi un'idea sulla storia (peraltro recente) del progetto. Nel solco di una tradizione italia - come dicevo - questi Guardiani hanno composto e prodotto quattro pezzi completamente strumentali che viaggiano nel solco degli organi e dei sintetizzatori, fatto non imprevedibile dato che la line-up ha ben due tastieristi. Quasi assenti le chitarre, fatta eccezione per qualche breve incursione solista minimale, e poi tanto basso e tanta batteria. Anche se sono soprattutto le tastiere a farla da padrone.

Il brano di apertura che dà anche il titolo all'album è un excursus tutto sommato anonimo nei prodromi del prog, una minisuite strutturata in tre movimenti che mette subito in scena l'armamentario più consono all'ispirazione della band: hammond, moog, mellotron supportati da una sezione ritmica non eccelsa, ma sempre incalzante. Da questo incipit si evince che i musicisti non sono particolarmente fissati nel virtuosisimo, ma hanno la capacità di compattare con una certa creatività i moduli più tipici del genere, rileggendoli senza eccessi e con molte citazioni. Questa prima traccia a mio avviso è comunque la parte meno nobile dell'opera.

Con la seconda traccia "Lo spettro di Crono" le cose cominciano a farsi interessanti. Un lungo e avvolgente intro di clavicembalo accompagnato da flauti sintetici e viole si snoda poi in fraseggi di organo e pianoforte via via più maestosi e orchestrali, quindi srotola una discreta cavalcata epica piena di ritmi sincopati e brevi assoli, che si ripetono e si rielaborano con gusto. Vagheggio ricordi di molti gruppi del passato (Emerson fa sempre l'occhiolino, ma anche la PFM....) e intanto apprezzo la pulizia e nitidezza del sound, anche se non è sempre precisissimo. La sensazione è che molte parti siano state registrate in presa diretta e che ci sia poca post-produzione.

La terza traccia è la mia preferita, si intitola "Alluminium" e parte con una splendida solenne fuga organistica che si trasmuta in pianoforte d'epoca romantica e alla fine genera una godibile sequenza sospesa tra jazz e beat-prog, con fraseggi accattivanti e contrappunti davvero creativi. Brano breve, ma intenso. Niente di nuovo nella strumentazione utilizzata, peraltro efficace, perché i Guardiani si capisce che sono più interessati a divertirsi con lo stile che a sperimentare suoni e scrittura.

L'album si chiude con "Marea di vetro", soffice atmosfera di pianoforte e chitarra sintetica, molto corale e malinconica, che strizza l'occhio a certi King Crimson e ai Pink Floyd per scivolare in sensazioni quasi ambient, ma resta tutto sommato prevedibile nel suo sviluppo complessivo e negli assoli finali di stampo barocco. Orecchiabile, lineare, sicuramente il pezzo meno prog tra i quattro.

In definitiva, "Labirinto Siderale" si presenta come un divertissment capace di far godere più chi lo ha suonato che chi lo ascolta. Certo se siete amanti senza pregiudizi del prog, non vi annoierà affatto. Opera piuttosto breve, tra l'altro, scorre via bene e non tradisce lo spirito del genere.

Grafiche di stampo spaziale, forse poco consone al carattere del disco, che solo nel main title trova riferimenti alle impressioni cosmiche. Io ci ho visto più metafisica e letteratura urbana che galassie e nebulose.

Pubblicato nel 2012, ma di fatto distribuito solo quest'anno (e assai difficile da reperire).

Carico i commenti... con calma