Siamo nel 1992, la corrente progressive trascinata da nuovo vigore torna a godere di una certa stima dopo i difficili anni '80, così si torna ad investire in questo genere. In tal senso, Il Castello di Atlante trova gran fortuna. Senza nulla togliere, ovviamente, al valore del gruppo di cui parlerò tra poco, semplicemente è inconsueto trovare persone ormai sulla soglia dei 40 anni che pubblicano il primo disco dopo già 18 anni di attività (nonostante alcuni nastri già registrati nel corso degli anni). Infatti, l'avventura del Castello inizia nel 1974, con la formazione che vede Aldo Bergamini alla chitarra e voce, Massimo Di Lauro al violino, Dino Fiore al basso, Paolo Ferrarotti alla batteria e voce e Roberto Giordano alle tastiere e voce, senza dimenticare che fino al 1982 al posto di Giordano c'era Giampiero Marchiori. Fatto questo piccolo quadretto della band, possiamo incominciare.
"Sono Io il Signore delle Terre a Nord" viene pubblicato nel 1992 (e l'abbiamo capito), e si presenta in modo abbastanza brutto, volendo essere onesti. La copertina, a mio avviso, è evitabile, ma soprassediamo e dedichiamoci all'ascolto.
"Tirando le somme", l'opener dell'album, ha un sapore fortemente ottantiano (avrei fatto a meno anche di questo); in complesso è gradevole ed una volta entrati nell'atmosfera la si apprezza, seppur con qualche riserva; se qualcuno, come me, ha avuto la tentazione di saltare subito la traccia non si scoraggi e prosegua l'ascolto per ricredersi.
Ecco, il mio unico appunto era questo: se chi non ama particolarmente certe sonorità è tentato dall'evitare l'ascolto dell'album dopo questa prima canzone (nel caso non l'abbia apprezzata), non lo faccia perchè il disco è assolutamente da ascoltare. Due perle su tutte : "La foresta dietro il mulino di Johan" e "L'estate" valgono qualsiasi prezzo. Ma se queste due rappresentano l'apice del disco, il resto non è affatto di scarso valore: stupende anche "Il Saggio" e "Il Pozzo". Colloco quasi sullo stesso piano di queste due anche "Non c'è tempo" e la vivace "Il vessillo del drago". Non particolarmente bella, invece, la strumentale "Semplice ma non troppo", un po ripetitiva e piatta. Nota a margine per i testi: evocativi, ma, forse per la mia avversione a determinate tematiche, decisamente inconsistenti.
In sostanza, il disco è molto bello, ma non costante: da ascoltare per il fatto che le canzoni citate prima nell' "èlite delle stupende" sono superlative a livello strumentale. Il violino interpreta in modo sublime le più diverse atmosfere, spaziando da motivi classici a folcloristici riuscendo sempre a rimanere estremamente suggestivo ed è lo strumento che guida il gruppo durante tutto l'album. Il voto, pur con qualche perplessità, è 4.
Elenco e tracce
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