Dichiarazione d'intenti: dedicherò solo poche righe alla forma del disco e al suo suono, preferendo concentrarmi sul messaggio che ho percepito.
Il suono è compatto e veemente, però allo stesso tempo risulta molto più melodico che nei lavori precedenti. Alcune canzoni in particolare credo possano essere annoverate fra le migliori mai composte dal gruppo (penso a "Doris", "Martino" o "Cuore d'oceano"). Capovilla si fa ancora più verboso che una volta, ma fortunatamente è sorretto nella sua magniloquenza da una architettura sonora duttile e cangiante.
Quanti dicono che è un disco troppo lungo, pesante e indigeribile, probabilmente hanno ragione. In questo io vedo però una scelta concettuale oculata da parte del TDO: in una epoca di iPod Shuffle, guide rapide e cultura in pillole, ci ricordano -forse con un pò di ingenuità- che esistono anche Ejsenzstein o Tolstoj. Paradossalmente il modo migliore per apprezzare quees'album è goccia dopo goccia, qualche canzone che tocca in modo partioclare quando sale la rabbia o l'impotenza.
Passando al messaggio: arriva come una botta sul muso l'angosciata perdita di certezze, il naufragio ideologico di una generazione senza nè Gramsci nè Majakovskji a cui votarsi, persi in un oceano di stimoli, alienati da sirene che vogliono solo farci annegare. Le parole di Capovilla malcelano l'ansia di veder bruciare il sistema sociale postmoderno con tutte le sue strutture basate sulla disuguaglianza fra (presunti) pari e le sue contraddizioni.
L'album dovrebbe essere un concept sul migrante, solo che la migrazione si traslittera in una tensione verso la ricerca della propria dimensione di vita, verso la ricerca della propria quadratura personale. E' chiaro che non ci sia scampo al vivere quotidiano senza una rottura degli schemi, proprio come il migrante che però finisce per trovare solo altra frustrazione e disillusione. Non ci sono cure, non ci viene proposta una soluzione, ma solo un grido disperato.
Da una parte c'è l'insostenibilità del presente, dall'altra l'assoluta mancanza di appoggi intellettuali e di schemi teorici che possano aiutare a costruire il futuro, nel mezzo c'è solo la fiducia nell'uomo.
E' questo il messaggio che vedo. Esattamente come nel Rinascimento si sentì la necessità di riportare l'uomo al centro dell'universo, così questo disco trasuda Umanismo, ansia di fratellanza e internazionalismo (probabilmente di stampo anarchico).
Tutto il mondo è Skopje.
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Altre recensioni
Di Heisenberg
Un disco obesello non è mai bello. È un furtarello ai soldi del porello.
Un disco debba anche essere un pò godibile, non una mattonellata sui coglioni.
Di clako
Questo terzo capitolo del teatro degli orrori è un viaggio meraviglioso.
Per certe scelte ci vuol coraggio, e i ragazzi hanno dimostrato di averlo.