Per una band il terzo album si prefigge di essere solitamente quello della maturità, del dentro o fuori, anche se spesso non è così. Gli Imagine Dragons ad esempio hanno fatto decisamente un passo indietro o meglio hanno fatto un passo avanti verso il pop un po’ troppo scarno e difettoso da classifica, anche se tuttavia la loro proposta non è vuota come quella di tanti nomi. Avrebbe fatto meglio a intitolarsi “Regress”. La mia non vuole essere una stroncatura - dato che comunque delle idee ci sono, tiene abbastanza compagnia e pertanto gli ho dato un bel po’ di ascolti - ma un’analisi obiettiva dei difetti che caratterizzano questo terzo lavoro della band.

Già in passato avevo evidenziato i difetti che caratterizzavano le loro produzioni; già nel primo lavoro, dove diversi brani venivano danneggiati da una produzione un tantino piatta e ruffiana, mentre con il secondo “Smoke + Mirrors” sembravano aver trovato la retta via e quel senso di piattezza si avvertiva molto meno.

Con “Evolve” invece ci troviamo di fronte ad un sound meno vario, marcatamente più orientato verso un pop molto elettronico e ruffiano da classifica, sofisticato sì ma ahimè caratterizzato da una produzione davvero troppo piatta. Chissà quante belle cosette ci sono dentro ogni singolo brano… ma che si sentono a malapena o manco si sentono perché ciò che conta nel music business è spaccare le casse facendo sentire solo voce e percussioni, queste ultime qua prevalentemente elettroniche e modaiole.

Come dissi nella recensione di “Smoke + Mirrors” loro sono una band che potrebbe costruire qualcosa di più o meno forte e dignitoso ma che sembra invece pensare più alle vendite che alla buona fattura musicale… e se con il precedente disco erano sulla buona strada qui invece mi hanno dato decisamente ragione. Io inviterei ad immaginare come suonerebbero brani come “I Don’t Know Why”, “Whatever It Takes”, “Believer” e “Walking the Wire” con una produzione che ne risaltasse meglio i suoni e il lavoro strumentale.

Eppure vi sono brani commerciali fino al midollo come “Thunder” e “Start Over” che pur essendo plasticosi e modaioli hanno un suono sicuramente più curato. Tuttavia quando si mette un po’ meno d’impegno a risultare trendy a tutti i costi la band produce anche brani di una certa raffinatezza, tipo “I’ll Make It Up to You”, con quelle tastiere vagamente anni ’80 o primi ’90 nel ritornello, dal sapore molto AOR (per struttura e ritmo, vedi i tocchi di chitarra e le stesse tastiere pompose nel ritornello, mi ha ricordato “Way of the World” dei Genesis, ascoltare per credere), ma anche “Yesterday”, con il suo incedere elegante e severo.

Poi però c’è “Dancing in the Dark”, il brano in cui i ragazzi smettono di fare la pop band e si mettono a fare davvero gli artisti, regalandoci un’elettronica oscura e notturna; il classico esempio di band commerciale che si mette a fare un brano di una certa serietà ma che fa storcere il naso al popolino musicalmente ignorante perché troppo “strano”, perché non è orecchiabile abbastanza, perché non ci si balla su o chissà cos’altro ancora; un po’ lo stesso discorso che potrebbe riguardare “Midnight” dei Coldplay.

Alla fine del discorso la domanda rimane essenzialmente una: cosa spinge a soffocare molte idee interessanti sotto tonnellate di percussioni pompate e voci? E la risposta è piuttosto chiara: sembra (ma ci si può anche sbagliare) che la band pensi davvero più al successo che alla qualità ed il risultato non sarà scadente ma sicuramente penalizzante. Il disco raggiunge sicuramente la sufficienza ma se meglio curato nei dettagli potrebbe anche prendersi un 7. Anche perché, detto sinceramente, se l’ho ascoltato perfino più dell’ultimo lavoro degli Ayreon vuol dire che effettivamente qualcosa che mi ci ha incollato c’è (ed io sono uno che dalla nullità se ne sta bene alla larga); sta di fatto che gli Imagine Dragons sono una pop band che non riesce mai a risultare tediosa, per me sono uno dei pochi gruppi che con i suoi tormentoni può scassarci la minchia finché vuole…

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