Tre recensioni recenti su dischi recenti e una media di due stelle: sarò io ad essere diventato cattivo nel 2007 o sarà che proprio il 2007 è stato un anno discretamente di merda per il metal estremo? Mi basterebbe citarvi "Ithyphallic" dei Nile per fornirvi la risposta, ma preferisco lasciarvi il beneficio del dubbio.
Il precedente lavoro di questa band ("Solace") è stato il disco con cui sono approdato su Debaser (lacrimuccia!) nel lontano Gennaio di due anni fa: cinque stelle. Qualche mese dopo avrei pubblicato la recensione del loro debutto ("Breathing Is Irrilevant"): cinque stelle. Oggi recensisco il loro ultimo lavoro: tre stelle.
Non sono così vecchio ed inacidito da cambiare radicalmente opinione su una band, anzi, ho provato in tutti i modi a farmi piacere questo disco quanto mi piacquero gli altri pezzi della loro discografia: ma si sa, al cuor non si comanda. Ed eccomi qui a squadrare con sufficienza quella che reputavo una delle migliori band estreme che calcassero il pianeta terra.
Gli Ion Dissonance sono canadesi, terra abbastanza ricche di band dagli standard tecnici superlativi (Beneath The Massacre, Cryptopsy, Capharnaum, Gorguts, Martyr, Quo Vadis, Neuraxis, Electro Quarterstaff tanto per citarne alcuni), e nel giro di pochi anni di carriera sono diventati abbastanza conosciuti. Peculiari erano il loro fondere Post Hardcore e Metal intransigente, le loro strutture tecnicamente intricatissime, il loro mood di rara complicatezza e frenesia. Come dissi da esordiente, catalogare il genere degli Ion Dissonance è molto difficile: troppi elementi diversi concorrono alla formazione della loro proposta che io definirei (abbastanza frettolosamente) Mathcore. Almeno fino a "Solace".
Inserendosi sulla scia delle (più o meno) neonate band compaesane, Despised Icon e Plasma Rifle in primis, i nostri hanno deciso di virare (preferirei il termine "sbandare") verso il Metalcore. "Minus The Herd" ne è la prova: è molto tecnico, ma è Metalcore.
Al di là dei "leghisti" pregiudizi che trovano dimora nella mente di un metallaro True riguardo al suddetto genere, già solo il fatto che da una catalogazione così complicata si passi ad una secca definizione di "Metalcore" è un pessimo segno. Gli Ion Dissonance hanno perso tanta personalità; un macabro zampillo, come da un'arteria recisa. Si rimane scettici ascoltando l'opener "The Surge", ci si intristisce nel sentire la voce, si cade nello sconforto nel leggere i testi. Al di là dell'efficace figura retorica, questo è più o meno quello che ho provato nello sviscerare questo cd.
L'"Origo Mali" è secondo me il cambio di cantante: Gabriel Mc Caughry se ne va e lascia il posto a (non vorrei sbagliare) suo fratello (spero che non sia suo padre ne suo figlio): non un pessimo cantante, ma proprio niente a che vedere con il predecessore.
Per quanto il nuovo urlatore cerchi in tutti i modi di imitare il buon Gab, la sua voce è più spenta, meno spassionata, molto più impostata, infinitamente più monocorde. Chi si ricorda i raptus di canzoni come "Play Dead... And I'll Play Along" non potrà che concordare; la prestazione è discreta, ma se confrontata con quella del passato (assolutamente sopra le righe) risulta di scarso valore. E i testi? Che dire dei testi! Dalle inquietanti e francamente geniali riflessioni degli album precedenti, si passa a sentenze da due soldi sul mondo e sulla società: e poi ditemi che non è Metalcore. E come non notare che nel booklet viene citato "Delitto e castigo" in Solace e "Il Signore degli anelli" in "Minus The Herd"? Ma i disastri non si fermano qui.
Oltre la sezione vocale, anche quella strumentale è stata magistralmente sfigurata: complice anche una predilezione per tempi più lenti, la batteria perde verve e, quel che è peggio, non rinuncia nemmeno ai classici tempi dispari. Non è la tecnica ad essere stata gambizzata, bensì lo spirito generale della band: le ritmiche potrebbero ricordare quelle dei Meshuggah, ma il contesto in cui sono inserite le privano di ogni significato. Le chitarre sono quelle a rimanere più fedeli al sound originale per quanto, anch'esse, di gran lunga più piatte: il tentativo di creare Groove utilizzando tempi più lenti, pur non fallendo, rende il disco decisamente più adatto agli smaniosi di Headbanging che non a palati raffinati.
Il mood infine, come ho detto a più riprese, viene abbassato a livelli indegni; non pessimi, ma di sicuro non all'altezza del loro stesso, aureo passato.
A parte la bella tripletta centrale ("Shunned Redeemer", "You Shouldn't Be Alive" e "Scorn Haven"), il resto dell'album è veramente trascurabile: sette canzoni quasi prive di anima che rappresentano solamente una grandiosa prova di perizia.
Il disco non è da buttare di per sé, ma è una cocente delusione se considerato come successore di quel ben di Dio che è venuto prima. Se dovete avvicinarmi a questa band, fatelo da questo album; va bene come antipasto, ma la cena prevede piatti ben più ricchi.
Elenco tracce e video
Carico i commenti... con calma