Mentre tutti acclamano i Marillion (ottima band comunque) in ambito neo-prog io stravedo per gli IQ, band altrettanto britannica ma che ha saputo incarnare lo spirito del progressive in maniera più convincente e varia e senza ambizioni di successo commerciale. I Marillion dopo Fish hanno tentato con Hogart di evolvere il proprio sound verso lidi rock più ricercati, come è gusto che fosse, ma pur facendo comunque buone cose spesso hanno finito per cadere un po' nel ripetitivo e a volte nel troppo easy. Gli IQ invece no almeno a mio avviso, hanno mantenuto lo standard tipico del neoprogressive continuando a sfrornare capolavori forse addirittura migliori di quelli prodotti negli anni '80 e continuano ad essere una delle band di punta del genere.
Questo "Ever", datato 1993, è forse una delle prove più riuscite; certo perché dopo i falliti tentativi di successo più commerciale mossi prima con "Nomzamo" (che comunque manteneva ancora un approccio molto progressive) ma soprattutto con "Are You Sitting Confortably" la band si è ritrovata a riflettere arrivando a conclusione che per poter sperare di continuare ad avere successo negli anni successivi era necessario procedere facendo ciò che erano abituati a fare, cioè qualcosa di più marcatamente progressive e quindi smettere di essere quello che non sono, cioè una band che aspira a ritagliarsi uno spazio nel mainstream. Stessa sorte toccata ai Pendragon che dopo il fallimento di "Kowtow" si riscatteranno alla grande con il masterpiece "The World", a dimostrazione che quanto fatto dai Marillion di Fish (che sono riusciti a far condividere perfettamente lo spirito progressive con quello pop commerciale) è stato solo un caso.
E, riflettendo, si è arrivati a produrre un capolavoro dove gli IQ sembrano essere tentati dalle sonorità più romantiche e sognanti del neo-prog, quelle che nello stesso periodo tenteranno anche i Pendragon. Il risultato è un disco sognante e atmosferico, da apprezzare soprattutto per le melodie proposte. Il ritorno di Peter Nicholls come principale mente della band ha fatto davvero bene alla band, che torna ad esprimersi finalmente come era stata capace di fare in anni passati, senza rincorrere nulla in termini di vendite. Nelle 6 canzoni di quest'album tutto ciò che un album neo-prog deve avere, c'è: strutture articolate ma senza esagerare, enfasi sulle tastiere, chitarre sognanti e pulite e qualche leggero sprazzo di tecnica e perché no, anche una certa orecchiabilità che però non si traduce mai in brani marcatamente pop da alta classifica.
L'album è aperto da un brano decisamente solare enfatizzato anche da una buona prestazione vocale: è "The Darkest Hour" che, personalmente, mi trasmette tutt'altro che qualcosa di oscuro come suggerito dal titolo. Davvero pregevole è l'introduzione, con dei complessi passaggi di chitarra e tastiera che non tornano nel resto del brano, davvero una delle mie intro preferite, della band e non solo, che poi lascia spazi agli arpeggi di chitarra accompagnati da tastiere e batteria altrettanto vivaci; un bell'intermezzo tastieristico e qualche solo di chitarra portano ad un finale lento propiziato dalle tastiere. La traccia n° 2 "Fading Senses" è forse quella che mostra meglio la profondità melodica dell'album; enfasi schiacciante sulle tastiere, bella introduzione con delicati passaggi chitarra acustica-tastiera e poi una seconda parte ancora con atmosfere impeccabili e leggermente oscure. "Out Of Nowhere" è invece leggermente più rockeggiante e più easy ma come brano non è male, sopattutto a livello ritmico. È praticamente l'anticamera a quello che è il vero capolavoro dell'album ovvero "Further Away", 14 minuti dinamici e intensi: inizio con tastiere dai suoni limpidi e deliziosi poi si alternano riff di chitarra puliti, un assolo di tastiera nella parte centrale, qualche altro bel suono di tastira simile a quello dell'inizio e un bel finale con sottofondo di tastiera e bel solo di chitarra. Notevole anche la successiva "Leap Of Faith" aperta ancora una volta da deliziose tastiere che lasciano poi spazio ad una bella parte strumentale con ottimi e impegnativi passaggi di chitarra e tastiera. E senza interruzioni nasce "Came Down" un brano lento non troppo impegnativo che poggia prevalentemente sulle tastiere affidandosi anche ad assoli di chitarra e buone linee vocali.
L'album della rinascita della band, ed è una rinascita davvero in grande! Sapranno ripetersi con album altrettanto splendidi dove chiunque ascolti può essere trasportato dalle emozioni.
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