Caro Jack,

dopo poco più di un anno che ti seguo finalmente ho avuto l'occasione di vederti dal vivo, sabato, quando sei sceso per la prima volta nella nella mia città. Sembra proprio che venga automatico darti del tu, ora capisco il tono delle recensioni che mi hanno permesso di scoprirti, proprio qui su DeBaser. L'atmosfera infatti era da falò sulla spiaggia: quando sono arrivato all'ippodromo delle Capannelle ho trovato decine di ragazzi assiepati sotto il palco, alcuni vestiti da surfista (vai a vedere poi se per attitudine o semplicemente perché come estetica e filosofia è estremamente attraente), la maggior parte americani come te. Sembrava a tratti di trovarsi a qualche raduno sulla west coast, con quella leggera brezza estiva nell'aria e il sole del tramonto mancava solo il rumore del mare. Guardando già quanta gente era lì per vederti ho pensato che sei un ragazzo fortunato, Jack, bravo e fortunato. Lo so che dall'altra parte dell'oceano non ci credete molto, ma visto che nelle tue canzoni a volte ti interroghi anche sulla vita, e mi sento di dire che molto delle umane vicende è anche fortuna. Ad esempio, anche a me piacerebbe la vita "slow" ed essere sempre chilled come te, perché fa tanto cool, come giustamente sanno i tuoi fan, ma il Signore non mi ha concesso di nascere tra le onde delle Hawaii; vengo da Roma ed è lì che combatto tutto il giorno nel suo traffico. Ma la mia non è invidia, anzi, ti ammiro davvero e ti auguro di avere sempre più successo, perché te lo meriti e perché so che nemmeno per te è stato sempre rose e ghirlande di fiori.

Volevo ringraziarti a cominciare dall'ospite che hai scelto per aprirti il concerto. Sul palco c'era solo una sedia, un'asta di microfono due chitarre e un ukulele, e quando quella ragazza minuta e timida si è andata a sedere nessuno si aspettava quello che avrebbe combinato di lì a poco. Di lei, Kaki, avevo solo sentito parlare, ma non potevo rendermi conto di cosa fosse capace: come ha messo le mani sulla chitarra siamo tutti rimasti a bocca aperta. Non avevo mai visto nessuno, nemmeno in video, suonare la chitarra in un modo del genere, sembrava un alieno. Tanto era il mio stupore che sono rimasto incantato a seguire quelle dita che picchiavano le corde sulla tastiera, neanche stesse suonando un salterio. Ma non solo tecnica fuori dall'usuale: anche atmosfera e melodia. La mia attenzione era rapita, e riuscivo solo a sentire che quello doveva per forza essere il climax della serata. Come era possibile offrire di più? Sai, di concerti ne ho visti parecchi di recente, ma niente mi ha procurato lo stesso senso di meraviglia e gratitudine di quel gioiello di mezz'ora. Ho trovato quasi metaforico che eravamo sì e no in mille e cinquecento a godere di un simile spettacolo. Gli amici parlano di noi, e se tu hai scelto lei per aprire la serata, beh, già questo la dice lunga.

Sei allergico alla polvere per caso? Mentre ti attendevamo, sul palco c'era un signore che non la smetteva di passare l'aspirapolvere sulla moquette e lucidarti chitarre e pianoforte. Davanti a me quattro americane ben pasciute schiamazzavano, avevano in corpo ettolitri di birra e non si contavano più i bicchieri da cui tracannavano. Intanto la gente era arrivata, adesso sì che c'era pubblico. Poi, alle nove meno un quarto, puntuale sei comparso sul palco. Hai preso la Gibson elettrica rossa e siete partiti con "You and your heart" tra le urla dei tuoi fan adoranti, accompagnato da basso, batteria e pianoforte. Suonate bene, e le tue canzoni, quelle piccole gemme che raramente superano i tre minuti, si chiamavano l'un l'altra. Così si son susseguite (tra le altre, perché sai, molte delle trenta e passa che avete suonato non le conoscevo, e di alcune mi sfugge il titolo, altre mi confondo sicuro. Ma recupererò, prometto) "Taylor", una versione da brividi di "Go On", "The Horizon Has Been Defeated", "Inaudible Melodies", "Sitting, Waiting, Wishing", "Upside Down" e le tante che spesso avete proposto in medley.

E che dire dei tuoi compagni di palco? Troppo simpatici, a partire da Zach, che oltre a suonare il piano ti faceva i backing vocals e che a una certa si è alzato per cantare il finale di "Wasting Time", e poi ha preso la fisarmonica per accompagnarti su "Belle" e "Banana Pancakes". E' stato bellissimo che hai dedicato a quel tuo vecchio amico di Bologna la mia canzone preferita, "Constellations", o quando Marlo si è tolto il basso per lanciarsi in un rap estemporaneo in coda a "Staple it together". O ancora quando dal tuo ultimo album hai tirato fuori il pezzo più fico, quella "Red Wine, Mistakes Mythology", un jam rock che ci ha divertito fino alle urla. E poi quando hai invitato Kaki sul palco e con slide e ukulele avete eseguito “Breakdown” era come se foste vecchi amici.

Non sei così bravo a recitare, infatti non ci credeva nessuno mentre ci salutavate e siete usciti. Ma non preoccuparti, è anche per questo che i tuoi fan ti amano. Ti abbiamo richiamato a gran voce, e dopo due minuti eccoti, stavolta da solo. Hai imbracciato l'acustica e ci hai regalato le ultime quattro perle: “Times Like These”, “Gone”, “Do You Remember” e in chiusura “Better Together”. E lì sì, ci hai salutato davvero, lasciandoci un senso di serenità che mi dura ancora adesso che ti scrivo.

Hai portato un po' di oceano nelle nostre vite, e se l'effetto è quello di rallentare i propri ritmi, di slow down, e di guardare le cose con un po' più di fiducia, beh, torna presto.

Tuo, Bartok

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