Ci sono voluti sette anni per avere un nuovo album di Jason Kay, aka Jamiroquai, progetto che dal 1993 allieta i nostri giorni e anime, ma con cadenza a dir poco pachidermica. E' un dato positivo o meno a seconda della prospettiva, dal momento che mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno, dico che meglio pochi album che nessun album. Il fatto è che la band fuoreggia da sempre sui palchi, una realtà non meno consistente di quella dello studio di registrazione, tanto che la sensazione derivata è che i dischi siano poco più di un pretesto per gonfiare la libreria dei live, come nel caso di questo Automaton, che aggiunge 12 nuove tracce - tecnicamente impeccabili - al curriculum Jamiroquai.

Le novità rasentano lo zero assoluto, anche se la fuorviante title track poteva far pensare diversamente, essendo in effetti contaminata da sonorità elettroniche che non mi sento di considerare così strettamente legate ai Daft Punk come scritto da altri. Un parllelo ci sta tutto, eccome, ma personalmente preferisco rimanere in casa e guardare a un esperimento simile effettuato da JK nel 1999 con Supersonic, altro brano electro freak che staccava un po' stilisticamente, pur rimanendo sostanzialmente coerente con lo spirito un po' sofisticato e compiaciuto del gruppo. Detto questo, Automaton sembra più vicino a un album dei nostri del 2001: A Funk Odyssey, essendo molto legato a sonorità disco funk ricoperte di polvere fittizia, non c'è molto da soffermarsi su precisazioni di didascaliche, si tratta di un sound '70 riprodotto con manicalità necromorbosa, tanto che in certi frangenti si viene a perdere il riferimento temporale, non fosse per qualche filtro sulla voce o altre amenità digitali sapientemente incastonate. In definitiva siamo di fronte a un disco con un valore di intrattenimento molto maggiore rispetto al precedente, non molto riuscito, Rock dust light star: brani piacevoli pervasi da una confortante solarità, fuori dal tempo e le mode, dove JKay riesce a infilare nuovamente una opener di rilievo, come ai vecchi tempi. Shake it On alza infatti subito l'asticella qualitativa del disco, non è certo il miglior brano prodotto dai Jamy, ma il refrain funziona e l'arrangiamento è veramente travolgente, tra slapping scatenato, linee di pianoforte, violini e synth a tutto spiano si arriva a un culmine del groove, sembra davvero di sfrecciare con una Ferrari tra le luci strobo della notte, battendo furiosamente il piedino. Pochi gruppi si possono permettere questi risultati, e un gruppo come questo non ha più nulla da dimostrare.

Questa forza è anche però il limite di un disco che sembra molto più autoreferenziale dei precedenti, ma con molte meno idee. Il problema comincia infatti ad emergere dopo Cloud 9, anch'essa pienamente promossa, nonostante non sia certo rivoluzionaria, ma anche qui tutti i pezzi del brano pop con diffusione radiofonica sono tutti al suo posto. Il brano omonimo ha le carte in regola per spingere il disco, con Jay che improvvisa addirittura una linea di rap nel bridge, e un refrain che fa il suo dovere. Da Superfresh in poi si assiste però a un calo evidente nel songwriting, con brani che non sembrano aver molto da dire e tendono a confondersi tra loro. La noia è scongiurata spesso e volentieri dall'altissimo livello produttivo, non c'è dubbio che sotto questo punto di vista Automaton sia inattaccabile: una muraglia di suoni allestiti dall'immancabile fila di turnisti fenomeno, bassline incredibili, poliedrici mosaici di synth, violini, sax e chi più ne ha ne metta. Lo stesso Kay si muove ormai con una disinvoltura mostruosa, utilizzando la voce come uno strumento ed alternandosi con grande perizia tra assoli strumentali che francamente sono vere boccate d'aria per pezzi in carenza di ossigeno. Ciò è osservabile in tracce come Summer Girl, We Can Do It, Carla e Nights out in the jungle, quest'ultima addirittura orientata al disco del debutto, Emergency On Planet Earth, che però in confronto è davvero di un altro pianeta. Una risalita si intravede in brani come Dr Buzz e Vitamin, ma anche in questo caso sono ancora gli arrangiamenti e le soluzioni strumentali ad arrivare in soccorso. Risulta sontuosa a tal proposito proprio la parte finale di Dr Buzz, abbellita da un assolo di sassofono e un freestyle di synth e chitarre elettriche da veri brividi. Da apprezzare la mancanza di ballate per lasciare pieno spazio a pezzi concepiti per intrattenere e far ballare.

In definitiva Automaton è un disco maggiormente riuscito del precedente, che però rappresenta forse uno dei punti più bassi della - qualitativamente - ragguardevole libreria Jamiroquai. Non c'è più nulla di nuovo da dire, Jason Kay ne è probabilmente consapevole, ma questo non gli impedisce di confezionare 12 brani impeccabili tecnicamente, ricchi di personalità e che aumentano il database da portare in tour. Purtroppo però mancano nella seconda parte del disco brani in grado di emergere con decisione, preferendo lasciarsi andare a un mare omogeneo di buona qualità. Un disco che si ascolta con gran piacere, ma che potrebbe anche deludere chi ha vissuto questi sette anni con spasmodica attesa. Esiste però un punto di vista alternativo che per qualcuno potrebbe anche ridefinire il quadro: in relazione alla scarsissima qualità del panorama odierno, anche un disco medio dei Jamiroquai è sufficiente per essere considerato un capolavoro.

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