Molto mistero circonda il duo femminile americano Jan & Lorraine, che ha prodotto un solo bellissimo album di folk-pop psichedelico, "Gypsy People", nel 1969. Jan Hendin e Lorraine LeFevre, (voci, chitarre elettriche e acustiche 6 e 12 corde, piano e organo) non si sa bene da quale parte degli Stati Uniti arrivassero, Detroit? O Canada? Dovevano venire a Londra agli IBC Studios a registrare senza musicisti americani al seguito. Con invece un cast di musicisti inglesi tutt'altro che scadenti, messi al servizio di queste due "female hippies of the beach", ma musicalmente e tecnicamente dotate, si realizza l'unico loro lavoro che presenta tutti pezzi originali, tranne la tittle track "Gypsy People" dei chitarristi songwriters inglesi Daney Graham e Michael Chapman e le due "Break Out The Wine" e "Don't You Feel Fine" del canadese Richard Keelan.

L'opera è una riuscita rassegna di storielle dal notevole potenziale acido, raccontate con chiarezza di veduta, senza tentennamenti di sorta. Ricordiamo anche la presenza di Terry Cox (Pentangle) alla batteria e percussioni come session man. Questo disco rilasciato poi solo in America e in Canada, è avvolto da un'aurea esoterica subito avvertibile a cominciare dalla stupenda copertina in pieno stile acid-tinged firmata da Connie Keelan. Lo stile introspettivo dai vaghi ricordi dei primi lavori di Joni Mitchell, presenta una costante e lunatica malinconia, che sbalza dalla decadente e nostalgica ballata per chitarra acustica e mellotron "Foolin' Myself", alla serena e sospesa "Bird of Passage". L'ottimo contrappunto melodico delle due folk-singers in "Gypsy People" è sorretto dall'impronta orientaleggiante al tamboura e tabla, per una virtuale danza del ventre; il raffinato dialogo vocale di "Life's Parade" si stampa su una fresca ritmica segnata dal basso di Brian Odgers; la splendida delicata ed eterea "Snow Roses" ci porta per un attimo a vagare per le brughiere inglesi con indicibile meraviglia. La ritmica incalzante della lunga "The Assignment Song-Sequence" accompagna il canto doppiato delle due musiciste, che lascia strada al trip-mono-tono di soli strumenti, nella seconda parte del pezzo. Gli arpeggi di "Number 33" ritmati con tic-tac metronomico, fanno da cornice al canto infantile di bimbo, doppiato al femminile, una delle scelte bizzarre che ci conferma la tinta coloristica psych-flower di tutte le ballate, in alcuni momenti gli arrangiamenti di contorno risultano poco identificabili, ma aggiungono arricchente stranezza.

Questo disco ha in se una old fashion tutto americano e una new boldness tipicamente inglese, i pochi momenti in cui avvertiamo accordi di chitarra tanto cari a gruppi come Pentangle e Fairport Convention, sono accostati a echi melodici non troppo frontali, di Jefferson Airplane e The Mamas and the Papas. Notiamo il canto raffinato delle due female singers che giocano, passando dal contrappunto al doppiaggio, fino al dialogo interposto o simultaneo, ma è d'obbligo lasciarci guidare dall'incognita dell'ascolto, per carpire i segreti di questo straordinario lavoro e non è facile trovare altre testimonianze femminili (forse solo in Linda Perhacs), per un costrutto folk-psych che si avvale di queste originali scelte stilistiche, ma ciò è potuto accadere forse, perchè Gypsy People è creatura "nomade", partorita in terra d'Albione. Il rapporto interattivo tra i due continenti porta anche a insoliti e interessanti risultati. Crediamo che le sconosciute "esuli" hippies, trovando "asilo ", terreno fertile in quella Londra musicalmente ospitale, che già guardava avanti col nuovo linguaggio chiamato "progressive", ma che non disdegnava affatto recuperare i meritevoli "ritardi stilistici", abbiano espresso il massimo dell'ispirazione, al servizio di quello che è diventato un vero e proprio retrò cult dell'acid-folk americano.

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