JE NE T'AIME PLUS - "LA PRIMA COSA"

ovvero "fantasmi elettrici ed esplosioni circensi"

La prima cosa che senti è una chitarra allucinata insieme ad una voce acida, sparata nelle orecchie come un proiettile sonico. "Va Tutto Bene" dice Bruno Fraschini, ma qualcosa ci dice che non sta andando tutto bene, se "la prima cosa alla mattina è la paura". Inizia così il primo e unico disco dei Je ne T'Aime Plus, che si snoda tra "demoni da sfinire" e violenti fantasmi adolescenziali ("L'amante Morte", "Nell'Odio"), incomprensioni dai ritornelli epici ("Canzone Dell'Ignoranza") e chirurgie funky ("La Memoria").

Non fatevi ingannare dal nome, non avevano niente a che vedere con la canzone francese o Manu Chao: i Je Ne T'Aime Plus erano una band lodigiana che proponeva uno psychobilly tutto suo, fatto di divagazioni elettrocircensi e caroselli isterici. La chitarra di Max Carinelli (ex Circo Fantasma) sa essere fragorosa e potente, ma anche sottile e sibilante come la lingua di un serpente, il basso di Gianluca Buoncompagni è preciso e solido. I testi scivolano tra angoscie giovanili, ironie mature e poesie chimiche. La "Ballata dell'inventore di un'arma letale" ha tutta la chiarezza e l'energia di un singolo spaccaclassifiche che non cede ad un facile giovanilismo antibellico, forse ricorda i primi Placebo ma senza l'odiosa checchitudine di Brian Molko.

Il quintetto di Lodi è stato paragonato ai Marlene Kuntz, ma secondo me possedevano una consapevolezza delle proprie capacità e del proprio songwriting del tutto personale. Brutal-Pop, lo chiamavano loro. "Il Piccolo Chimico" è una giostra dal corpo transgenico, dalle ritmiche schiaccianti e psicochimiche. Ne "L'Oracolo" e "La Sorte" si balla su ferite sventrate e tragicomiche allusioni a quel circo di fallimenti che spesso la nostra vita diventa. I Je Ne T'Aime Plus sono padroni dei loro strumenti, ma quando suonano siamo noi a non essere più padroni di noi stessi, e ci viene naturale girare "come un'elica" e volare via con le loro correnti indiavolate e acide oppure posate come il cielo prima della tempesta, pronto a scoppiare in tuoni rabbiosi ed insieme ironici.

L'ultima cosa che senti è una dea della neve, catarsi post-urbana, chiamata "Diosa Dea", dalle liriche intense, criptiche e non paragonabili a nient'altro che io abbia mai sentito nel panorama indie italiano. "Diosa Dea" appare sinuosa all'orizzonte, "ci chiama, ci possiede, e tutti ci trattiene". "Diosa Dea" ci trasporta con sè altrove, ma per ora siamo al sicuro, possiamo "dormir nel calor delle sue braccia". "Diosa Dea" ha una coda chitarristica magnetica, mantrica, una pennata all'altezza dei pickup e una dalla parte della paletta. "Diosa Dea" se ne va con uno scriocchiolio prolungato, con un sussurro. La prima cosa, la mattina dopo, sarà la paura, una paura tramutata in realtà.

Dedicata a Bruno

"Diosa Dea"

"Dopo qualche incontro ha requisito la mia ombra / l'ha messa a recitar se stessa dentro la sua pentola / nel mondo partorito ognuno ha il proprio ruolo / la descrizione calza come un guanto su una mano / ci ha dato dei costumi per sembrare personaggi / ha comperato tutti i miei miraggi / mettendoci a sedere racconta la parabola / e mostra al suo campione la sua favola

Ci chiama / El hombre che canta para encontrar respuestas / hombre che dorme para encontrar respuestas / e silenziosa regina della neve / diosa dea che tutti ci possiede / el hombre che canta para encontrar respuestas / hombre che dorme para encontrar respuestas / e silenziosa regina della neve / diosa dea che tutti ci trattiene

L'accompagna all'esame dei sapienti / lo protegge dal rigore degli eventi / indossa il desiderio che ha intravisto nell'eroe / pretende per sé il bacio del campione / puoi dormir nel calor delle sue braccia / riposare, abbandonare la minaccia / va in giro con la voce sulle labbra / e ci rapisce i sogni dala faccia"

Ps: se siete interessati al disco consiglio vivamente di acquistarlo, ha un prezzo politico; se non doveste trovarlo più in giro contattami.

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