"Fino all'ultimo respiro" di Jean Luc Godard è un tributo al noir americano ed a Humphrey Bogart. E' anche un ironico addio a quel modo di fare cinema, e, al modello di gangster com'era stato rappresentato fino a quel momento. Non più duro e vincente, ma un perdente senza arte nè parte. La trama è di una semplicità estrema: il giovane delinquente amorale e menefreghista Michel (Jean Paul Belmondo), uccide un poliziotto, mentre viaggia verso Parigi su un'auto rubata. La polizia lo cerca, ma riesce a raggiungere la capitale, dove trova rifugio presso Patricia (Jean Seberg) una studentessa americana che aveva conosciuto in passato. Cercherà di convincerla ad andare con lui in Italia. Analizzando la pellicola, che altro non è che una semplicissima storia criminale, ci rendiamo conto che alcune delle classiche regole, usate nella costruzione di un film prima d'allora, sono modificate radicalmente. I dialoghi imprimono all'opera uno stile personalissimo, perchè sono originali, moderni, molto innovativi per l'epoca. Godard non è il regista diligente che segue meticolosamente la sceneggiatura, è il regista protagonista. Tanto è vero che rielaborava l'esile copione di giorno in giorno, assecondandolo all'ispirazione del momento, lasciò pure ampio spazio anche all'improvvisazione degli attori. Questo aspetto si nota ad es. mentre Michel e Patricia parlano, litigano, filosofano, nella camera d'albergo della donna. "Perchè sei venuto qui Michel?" " Io? Perchè ho voglia di fare di nuovo l'amore con te" " Non è un buon motivo direi" " Invece si, vuol dire che ti amo". Belmondo parla e si atteggia come il suo "maestro" Humphrey Bogart, vivendo così la realtà che aveva sempre desiderato, è spontaneo ed è del tutto identificato nel personaggio. Michel è se stesso, non la brutta copia di Bogart, anzi, supera l'originale. Jean Seberg gli fa da ottimamente da spalla, ritagliandosi la personalità di una donna senza certezze, indicativa è la frase "Non so se sono infelice perchè non sono libera, o non sono libera perchè sono infelice". In queste lunghe sequenze, il regista fa uso di una tecnica di montaggio mai sperimentata prima, taglia i dialoghi e unisce scene che non hanno legame. Per esempio, Belmondo è ripreso con la camicia, subito dopo senza, oppure tiene tra le dita una sigaretta, nell'inquadratura successiva non ce l'ha più. Sorprendentemente la continuità della scena non perde in efficacia, al contrario, dà al film un dinamismo inaspettato. Una tecnica che è stata ripresa in seguito, oggi è usata nei video musicali e nella pubblicità. In una scena Patricia cita William Faulkner "Tra il dolore ed il nulla, scelgo il dolore, tu cosa sceglieresti?" Michel risponde "Il dolore è da stupidi, scelgo il nulla". Patricia lo denuncia, mettendo così fine all'odissea di Michel, che aveva percorso Parigi nella ricerca di un po' di soldi, per andarsene in Italia con la ragazza, in realtà senza alcun scopo. Di conseguenza, quando il giovane comprende che la sua è una fuga senza speranza, diversamente dai gangster di una volta, perde rapidamente la voglia di vivere, fugge, ma è cosciente del nulla cui va incontro, non fa compromessi, tutto o niente. Morirà inspirando un'ultima boccata dell'inseparabile sigaretta. Godard ha creato un'opera fondamentale nello sviluppo della cinematografia successiva, un film divenuto il simbolo di un modo d'intendere la regia in modo rivoluzionario, e, la dimostrazione che per fare un grande film ci vuole sopratutto creatività e coraggio. Per concludere cito ancora Belmondo "Se non amate il mare, se non amate la montagna, e se non amate nemmeno questo film, beh, andate a farvi fottere!" (in realtà l'attore non dice "questo film" ma "la città")

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