Le nuove generazioni di ragazze e ragazzi da spiaggia ascoltano tante belle cose: i Real Estate, i Beach Fossils, i Best Coast, gli Wavves, Jeans Wilder.

Jeans Wilder è il nome d'arte di un barbuto ragazzone californiano omonimo del famoso Andrew Caddick giocatore di cricket nella mitica nazionale inglese degli anni novanta: ha la passione per certo lo-fi minimalista, per i bonghetti, per il surf che però non sa fare, per i fuzz, per le ballate doo-wop; bello come sia riuscito a incastrare tutte le sue passioni, impregnarle della classica delusione sentimentale - nice trash è lui, secondo la sua ex - e metterle su questo disco.

Come anche Dirty Beaches, Jeans Wilder fa musica d'ambiente: non troverete delle Surfer Girl, delle Surf's Up e neanche delle Earth Angel nei suoi dischi, ma troverete sintesi delle loro componenti base esasperate, dilatate, rimbombanti: così la nenia ammaliante di Sparkler, la più riuscita, è un simil-doo-wop - al netto dei barocchismi vocali - in cui la chitarra, lontanissima, mima il classico falsetto wilsoniano (Brian); un pezzo d'antiquariato aggiornato a misura delle rinnovate esigenze delle nuove leve spiaggiate, facilmente riassumibili in scazzo e riverberone. Be My Shade in apertura è cantata su un'onda, letteralmente. Blonde Beach ridefinisce il significato di fuzz-pop. International Waters è synth-pop allo stato liquido. E anche tutto il resto merita, davvero, che lo si prenda per un agglomerato informe di suono a tema canzoni da spiaggia deformata dal fumo, come si prenderebbe un disco di Grouper; e che ci si soffermi sulla manifesta bellezza di certe linee vocali, evaporate a volte, sepolte sotto tonnellate di suono.

Che bella, l'estate del duemiladieci.

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