Madison Square Garden. Una delle più grandi arene del mondo, ospite d’innumerevoli eventi: è la sede dei New York Knicks nel basket, ha visto combattere Joe Frazier e Muhammad Alì, ha goduto delle esibizioni di Frank Sinatra e dei Led Zeppelin.

Il 14 ottobre del 1978, però, è stata l'arena che ha visto l'esecuzione di uno dei migliori concerti della Storia della musica Rock. Quel giorno sbarca a New York una band inglese, che aveva conosciuto il successo mondiale con gli album "Aqualung" e "Thick As A Brick", che dopo "A Passion Play" aveva rischiato il fallimento e che finalmente si era rimessa in corsa con album d'ottimo livello come "Songs Of The Wood" e "Heavy Horses". Sto parlando del gruppo inglese dei Jethro Tull e che quel giorno d'ottobre del 1978 stava per entrare nell'Eternità.

Il sestetto inglese è formato in quest’occasione dal leader Ian Anderson, dal prode scudiero Martin Barre alla chitarra, il "polipo" Barriemore Barlow alla batteria, il duo magico alle tastiere David Palmer e John Evans e da Tony Williams al basso (in sostituzione di John Glascock, alle prese con problemi di saluto che lo porteranno, purtroppo, al decesso nell'anno successivo).
Il concerto è trasmesso, per la prima volta, in diretta mondiale transoceanica. Sembra inutile sottolineare l'impegno profuso dal gruppo britannico, ma è sempre un'ottima occasione ricordare la bellezza delle musiche e dei testi che i Jethro Tull sono in grado di creare, capitanati dal carismatico Ian Anderson in primis, ma senza dimenticare l'apporto fondamentale degli altri membri.

La scaletta contiene i classici pezzi della discografia dei Tull, in quest’occasione influenzata soprattutto dagli ultimi due album, ossia "Heavy Horses" e "Songs From The Wood" (entrambi del 1978 e che con "Stormwatch” dell'anno successivo, formeranno la cosidetta trilogia folk del gruppo).
Simpatiche musichette aprono il concerto, quando prende la scena la graffiante chitarra di Barre e il riff di "Sweet Dream", canzone "sognante" ed evocativa, che risente del sound duro e blues dei primi anni '70 del gruppo.
Robert Burns e la sua poesia "Ode To A Mouse" (Ode a un topo) sono le fonti ispiratrici del primo pezzo folk della serata: "One Brown Mouse". La terza canzone fa ancora parte dello stesso album e si tratta di un classico del gruppo, di una di quelle canzoni d'antologia che fanno comprendere la grandezza di tali artisti: "Heavy Horses", l'elogio ai cavalli da lavoro in un'epoca dominata sempre di più dalle macchine. Anche qui è ancora Martin Barre ad aprire le danze e la canzone presenta tratti malinconici e cambi di velocità mozzafiato.
La vera diretta, però, comincia ora. Questa era solo un’anteprima (tanto per riscaldare il pubblico). Perché ogni concerto dei Jethro Tull non è tale senza il loro capolavoro assoluto e non parlo di "Aqualung", parlo di una canzone che inizia con un leggero motivo di chitarra acustica, che parla di un bambino prodigio che vince un premio letterario. Parlo, ovviamente, di "Thick As A Brick", la celeberrima suite, dalla quale sono estratti i pezzi salienti riuniti in una magistrale versione ridotta, tra cavalcate rock e intermezzi folk. Delirio puro.
Così come con "No Lullaby", altra traccia di "Heavy Horses" di origini scozzesi. E finalmente il palcoscenico è tutto per Ian Anderson è il suo Flauto Magico, in un assolo che entrato nell'immaginario collettivo della figura dei Jethro Tull. Chi non s’ipnotizza ascoltando i richiami classicheggianti (Bach) o le melodie popolari del Pifferaio di Dunfermline?

A questo punto il concerto è lanciatissimo, come meglio non ci si poteva aspettare: è un successo assoluto. E allora i Tull possono giocare con le canzoni, suonando una versione alla rovescia di "Songs From The Woods" (prima la musica, eppoi la versione cantata a quattro voci), nella quale Barriemore Barlow si improvvisa anche flautista!
I fan, però, aspettano ancora il "pezzo" per antonomasia dei Jethro Tull e allora il tempo di presentare i magnifici sei che parte il "Quatrain", la marcetta musicale interrotta dal riff storico di Barre: è il tempo di "Aqualung" e di raccontare la storia di un senzatetto. Capolavoro assoluto e Barre ci regala un ottimo assolo.
La band abbandona il palco, ma ci accorgiamo che è solo una finta quando ascoltiamo il pianoforte di John Evans. Il fischio del capostazione, la chitarra di Barre che spadroneggia con Evans, le percussioni di Barlow che sfociano nel riff di "Locomotive Breath"! Che emozione, che gioia! È meraviglioso raccontare in questo modo lo scorrere della vita, sfruttando l'analogia di un treno senza freni e con queste note. L'assolo di flauto di Anderson raggiugne picchi di complessità inimmaginabili. Versione, inoltre, estesa con l'esecuzione della "Dumbuster March" e da un fenomenale assolo di batteria di Barrimore Barlow (John Bonham dirà di lui: "È il miglior batterista della storia del Rock").
C'è anche il tempo per la nostalgica "To Old To Rock 'N' Roll, To Young To Die", manifesto di una generazione che non sa più quale sia il suo scopo, e per una versione unita di "My God" e "Cross Eyed Mary". Superbi Tull.

Riassumendo, come definire se non fantastico un concerto dove c'è Ian Anderson che spadroneggia con il flauto traverso, dove c'è Martin Barre più in forma che mai, dove ci sono due persone come David Palmer e John Evans che creano atmosfere affascinanti e dove c'è una sezione ritmica portata avanti da Barriemore Barlow e Tony Williams.

Grazie, Jethro Tull

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