Ehm... sì bè... insomma... Fantastico.

Cioè, non è che sia uno di quelli che si esalta ad ogni concerto o che idolatra la "rockstar preferita", anzi. Le reunion forzate dopo decenni di silenzio o il leader del gruppo storico che parte in tournè trascinandosi dietro un nome che mai potrà da solo rappresentare mi lasciano perplesso quando non indifferente o schifato, ma qui...innanzitutto: quella di stasera non era una reunion, e si sentiva eccome.

I Jethro Tull hanno sicuramente dato il loro meglio decenni fa, e forse è per questo che sentirli riarrangiare e proporre canzoni degli inizi anni '70 è uno spettacolo. C'è il folk di "Songs From The Wood", il prog di "Thick As A Brick", le acrobazie flautistiche di "Bourée", sempre la solita e sempre diversa da sè stessa ad ogni apparizione live.

C'è soprattutto lui, Ian Anderson, mattatore da palcoscenico alla soglia dei 63 anni con una forma atletica opposta a quella degli azzurri in Sud Africa, ma c'è pure un Martin Barre che è uno splendore; gli altri comunque riescono a rimanere soltanto leggermente in secondo piano ed il merito è della familiarità con la quale riescono a dare del tu agli strumenti. Si passa così dai bonghi all'organo, dalla fisarmonica al doppio pedale (!!) di Doane Perry che fa la sua comparsa in alcuni finali.

E dopo molti concerti in distese di cemento o in locali angusti con visibilità pari a zero, qui è splendida pure la cornice, il parco di una villa ottocentesca (...sì è vero dai, ho tirato a caso, non so, potrebbe essere anche medievale per me), una buona acustica e una discreta possibilità di movimento.

Così passa 1 ora e 30' fra pezzi più o meno vecchi e poi... poi c'è la monumentale "Aqualung". Fine.

Anzi no, manca ancora il respiro della locomotiva che ci accompagnerà fino a casa. Grandissimo finale, la trascinante "Locomotive Breath".

Penso che anche l'agronomo del 1600 stia ballando nella bara.

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