Nel 1977, i Jethro Tull pubblicano il loro 10° album d'inediti registrato in studio, questo "Songs From the Wood".

Il progressive viene decisamente accantonato, e il genere predominante di questo disco è il folk rock, con atmosfere rurali e pastorali. Non mancano comunque momenti più tendenti al rock, con il buon Martin in grande spolvero. Il risultato è veramente eccezionale, oltre che molto originale e insolito, soprattutto confrontandolo alle tendenze di quel periodo. Una sorta di oasi felice per gli amanti di questo stile. Questo album segnerà una "riappacificazione" tra gli amanti della band, in quanto alcuni album antecedenti a questo non avevano molto entusiasmato alcuni fan. Anche la critica sarebbe tornata a giudizi più benevoli. Insieme ai successivi "Heavy Horses" e "Stormwatch" andrà a costituire la nota e apprezzata trilogia folk.

La copertina del disco ci porta già nel suo clima. Raffigura infatti Ian Anderson in mezzo ad un bosco, nelle vesti di cacciatore. Nel realizzare questa opera vi è stata un'indubbia e accurata ricerca musicale. In molti pezzi si respira un'atmosfera celtica, legata ad antiche tradizioni britanniche, e nel realizzarla si sono adoperati anche leggiadri e purtroppo un po' desueti strumenti, come il mandolino e addirittura il liuto! Un' ulteriore conferma delle qualità tecniche del gruppo. Oltre a Anderson, Barre, Barlow, Evan e Glascock, nella formazione figura ufficialmente anche lo storico arrangiatore dei Tull, David Palmer, in qualità di tastierista.

Con l'inizio della title-track, eccoci catapultati in un clima quasi fiabesco, con un dolcissimo cantato di Anderson con interventi di Glascock, a cui farà seguito un crescendo dapprima acustico, dappoi evolvente in un robusto rock, con grande interazioni tra chitarra elettrica, flauto e tastiere. Questa canzone diventerà una delle preferite dei fan. La successiva "Jack In The Green", molto eseguita dal vivo, è invece una breve e solare canzone semi-acustica. In questo pezzo TUTTI gli strumenti sono suonati da Anderson. Con "Cup Of Wonder" ci troviamo di fronte ad un veloce e trascinante folk rock elettro-acustico, con un piacevolissimo intermezzo musicale. La quarta traccia, "Hunting Girl" è un altro dei capisaldi dell'album. Lascia per un po' in disparte il folk e si attesta su territori decisamente hard rock. All'avvio eseguito con l'organo, segue un'entusiasmante cavalcata rock fatta davvero in modo magistrale. Oltre ai graffianti riff di Barre, è davvero notevole la potente ritmica fornita dal basso di Glascock. "Hunting Girl" sarà un cavallo di battaglia nelle esecuzioni live.
La seguente "Ring Out, Solstice Bells" è forse la canzone meno riuscita dell'opera. E' una piacevole canzone dalle atmosfere natalizie, che mette in risalto soprattutto le qualità di Barlow alla batteria, ma che dopo un po' puo' stancare. Un'altro capolavoro è invece "Velvet Green". Sono rimasto esterrefatto al suo primo ascolto! L'avvio ha un'impronta medioevale, con un bel suono di liuto (suonato da Barre) e poi prosegue in un folk acustico con dei veri virtuosismi strumentali e uno stupendo cantato. Il finale riprende il tema dell'inizio. Quanti saprebbero scrivere una canzone cosi? Chiudendo gli occhi e con una fervida immaginazione si potrebbero vedere sia le corti medioevali sia i druidi celti!!! Davvero bellissima! "The Whistler" è un altro ottimo brano semi-acustico con quel tocco di originalità che non guasta mai. Il protagonista degli stacchi musicali è infatti un whistle, credo uno zufolo, con un suono davvero particolare. Dopodichè eccoci ad un altro capolavoro. L'ottava canzone, cioè "Pibroch (Cap In The Hand)" è qualcosa di fenomenale, a partire dal titolo. "Pibroch" significa letteralmente "variazioni per cornamusa generalmente su temi marziali" (!!!). Molto lunga, comincia con la chitarra molto acida e distorta, a cui si aggiungono poi batteria, flauto e voce, che andranno a costituire il tema principale, con un clima decisamente cupo. Pregevoli sono le due divagazioni musicali, con superbi intrecci tra flauto, mandolino e liuto, a cui si sovrappongono percussioni, tastiere e probabilmente cornamusa, visto il titolo, che conferiscono al brano un'aria davvero solenne. Stupefacente! La conclusiva "Fire At Midnight" è un breve pezzo nel pieno rispetto del solco stilistico generale. Molto gradevole anche qui l'intermezzo strumentale, con un originale duetto chitarra elettrica-mandolino.

In definitiva, questo lavoro è un altro dei pezzi da novanta della discografia dei Jethro Tull, che forse non raggiunge i livelli di alcuni capolavori precedenti (il voto finale sarebbe un 4.85), ma che è veramente ineccepibile e fondamentale nella storia di questa gloriosa band. Un disco che non può davvero mancare nelle collezioni di tutti i cultori dell'ottima musica.

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