Doverosa precisazione: qui sopra si evince che questo album è opera, per l'esattezza la ventiduesima in studio, dei Jethro Tull, in realtà del gruppo passato alla storia della Musica con capolavori come "Stand up", "Aqualung", "Thick as a Brick" e via dicendo, altro non resta che il mitico fondatore; motivo per cui come nella sua ultima produzione sarebbe stato corretto attribuirlo al solo Ian Anderson. Evidentemente il "richiamo commerciale" ne ha determinato la paternità e direi non a torto stante che i "Jethro Tull" rientrano nella top 10 britannica dopo ben 50 anni, allora fu l'accopiata "Living in the Past"/"Thick as a Brick", proprio con "The Zealot Gene", risultato che si può definire eccezionale. Ma è vera gloria?

Ecco questa è poi la cosa che a noi interessa di più e la mia risposta secca è senza dubbio.....affermativa! "The Zealot Gene" s'ascolta che è un piacere. Certo se siete appassionati/e di Metal, probabilmente il lavoro di Anderson, non fa per voi, ma per gli amanti del RockProg non c'è dubbio che valga la pena approfondire,

Il titolo dell'album "Il Gene degli Zeloti" suggerisce che siamo di fronte ad un concept album biblico, gli Zeloti sono infatti una setta ebraica "attiva" al tempo di Gesù e naturalmente anche prima di lui sin dal tempo dell'occupazione romana della Palestina. Si distinguevano particolarmente nella loro intransigenza nel rispetto della Bibbia, oggi diremmo che erano "Integralisti" e come tali facevano vedere i sorci verdi ai nostri Padri, che alla fine verso l'anno 70, si stancarono del loro terrorismo prima maniera e semplicemente li cancellarono dalla faccia della Terra.

Giusto per citare due zeloti doc ricordo: Barabba e Giuda, su cui non mi pare sia necessario dilungarmi vista la celebrità data loro dal Vangelo, invece analizzando i dodici brani di cui è composto "The Zealot Gene" direi che è un falso concept poiché l'aderenza con la Bibbia è confinata ad alcuni brani come "Jacob's Tales" ovvero le storie di Giacobbe o "Shoshana Sleeping" ovvero il sonno di Susanna: l'assai piacente ragazza insidiata dai due vegliardi che rifiutati la portano di fronte a re Davide per la lapidazione di rito (sventata dal saggio sovrano), o infine "The Fisherman of Ephesus" dietro cui verosimilmente si cela Giovanni l'Evangelista "Pescatore di Anime", sepolto per l'appunto ad Efeso; per il resto solo richiami abbastanza vaghi.

Musicalmente come anticipato "The Zealot Gene" risulta assai piacevole nell'ascolto, senza particolari acuti, escludendo forse la bellissima: "Mine is the Mountain" con un triste ed insistito ritornello, interrotto da inserti lirici e la classica "cavalcata" andersoniana ed anche la deliziosa ""Sad City Sisters" impreziosita dal sagace uso della fisarmonica. L'omogeneità della composizione è accentuata dal quasi continuo tappeto flautistico e dalla suadente voce del settantaquattrenne Ian oltre alla obiettiva scarsa incidenza degli altri pur valenti musicisti, relegati di fatto al ruolo di "tapezzeria musicale".

Volendo guardare a ritroso la lunghissima e ricchissima produzione del gruppo qui citato, inutile cercare un riferimento nei sopra citati capolavori, mentre mi sbilancerei a dire che abbiamo qui un "successore" di "The Passion Play" con l'esperienza della ripresa di "Thick as a Brick" del 2012, ciò nonostante l'opera in questione è sostanziamente originale e lo ripeto ben giocata, da cui segue il mio lusinghiero punteggio, in linea con la critica che ha accolto molto positivamente: "The Zealot Gene".

Inquietante la copertina in bianco e nero, salvo la Crocefissione, quasi a suggererire che quella è stata l'unica vera nota di colore in tutta la narrazione dell'album.

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