Un momento che ricordo ancora con assoluta nitidezza, nonostante siano passati ormai quanti anni? Nove? Forse anche dieci. Insomma, ricordo un teenager che aveva appena scoperto i Queen ed era in continua ricerca di musica. Uhm si, ma dove trovarla dato che in casa gli spunti erano pari allo zero assoluto? Ma certo, c'è quel canale che si chiama MTV, la televisione della musica, lì si che ci sarà tanta di quella musica da soddisfare tutti i suoi appetiti! Ah, povero citrullo, non c'è poi tanto da stupirsi se dopo questi primi "tentativi" sia finito dritto dritto tra le braccia dei Rhapsody e dei Cradle Of Filth, ma non è questo il punto. Fatto sta che stavo guardando una hit parade sul suddetto canile musicale presentata da una certa Carolina qualcosa e, tra una Madonna di quà, un Liga di là e un gossip su George Michael nel mezzo, ecco arrivare il momento amarcord: viene presentato il video di "Mia Bocca" (pff, sarà la solita troiata...) di tale Jill Jones (chi!?) scritta da un certo Prince (aah, giusto, quello di Purple Rain!). E quasi mi sembra di rivedermi, appollaiato sul tavolo della cucina, con gli occhi tipo *_* così e un sorrisetto ebete. Quel sound così eccentrico e birichino, quella voce leggera e zampillante, e poi che meraviglia di video, mai sentito e visto niente di simile prima d'ora.
E oggi, finalmente nel pieno (si spera) della mie facoltà mentali e cognitive posso rendere a Jill Jones gli onori che merita. Confesso di avere una conoscenza abbastanza limitata del suo pigmalione, ma, spulciando i credits, salta all'occhio una cosa: le canzoni risultano composte da Prince E Jill, tre di loro sono accreditate unicamente alla cantante, che tra l'altro figura anche come co-produttrice dell'album. Ecco perchè le mie risicate nozioni sull'eccentrico artista di Minneapolis non costituiscono un eccessivo problema: Jill Jones non è semplicemente un'ancella su cui imbastire un progetto di basso cabotaggio per riciclare un po' di outtakes, ma una musicista preparata che ha avuto un importante peso specifico nella realizzazione del disco. Partiamo pure da "Mia Bocca" che, ad anni di distanza e con le idee molto più chiare, continuo a ritenere un grandissimo capolavoro Pop, specialmente nella versione "full" dell'album, sette minuti e mezzo di perfetta commistione tra funk e synth-pop, con il lusso di una magiloquente intro sinfonica. Non saprei descrivere questo pezzo se non come un fulgido esempio di perfezione, per la melodia, ipnotica e direi quasi minimale, e soprattutto per l'interpretazione da urlo di Jill, così ricca di brillantezza e sensualità, una sensualità giocosa, fresca, smaliziata ma sorridente, solare. Jill Jones è una cantante sublime, poco da dire; ha una duttilità straordinaria, il suo timbro normalmente sinuoso e sottile sa graffiare e incidere quando necessario, a volte seducente lolita, poi donna algida e misteriosa, diva R'n'B in abiti di gran gala, focosa regina del funk, dolce e romantica quando serve, con garbo ed eleganza. Che classe signori miei, che classe, non c'è Mariah Carey vecchia o nuova che tenga, non c'è divetta o starlette odierna che possa anche solo lontanamente tenerle testa: nessuna sterile dimostrazione di tecnica ed estensione, nessun acuto ad minkiam, un carisma da vera regina.
Si, perchè "Jill Jones" non si ferma solamente a "Mia Bocca", è veramente un gran disco nel suo complesso, solo otto canzoni e non una nota fuori posto, un episodio anonimo (che serva da lezione a chi infarcisce gli album con manciate di roba superflua quasi in preda a un deleterio istinto di horror vacui). "Baby You're A Trip" è una sfavillante pioggia di stelle e lustini, ha l'eleganza, il passo felpato e il fascino glamour per fare da sottofondo a una sfilata di alta moda, come contraltare abbiamo lo scatenatissimo duo funky "All Day, All Night"-"For Love", bollente ma quasi straniante la prima, con una Jill che recita con grandissimo carisma un delirio di passione, senza concedere un attimo di respiro; la seconda è un po' meno indiavolata, una canzone che, se pubblicata una decina d'anni prima, in piena disco-fever, avrebbe sicuramente fatto sfracelli; il cantato si attesta su un registro basso e corposo, che si discosta visibilmente da quello usato nella maggior parte dell'album, dimostrando ancora una volta l'estrema duttilità vocale di JJ. Non mancano neanche ua ballatona in grande stile, "With You", mollemente adagiata su sinuosi fraseggi di chitarra e un vivacissimo episodio camp come "My Man", con un piglio così "sassy" e sbarazzino da far sciogliere anche il più duro e intransigente rocker.
La sensualità classica e conturbante di "G-Spot", un'impeccabile performance synth & sax e l'eleganza agrodolce in abito da sera del midtempo "Violet Blue", di gusto spiccatamente 70's, completano il panorama di un album assolutamente perfetto, tra l'altro di un genere che non frequento abitualmente e che spesso mi è poco congeniale, ma in questo caso c'è veramente una sintonia totale, ascoltare Jill Jones mi mette ancora le *_* stelline negli occhi, proprio come dieci anni fa. Purtroppo non è andata, poteva essere la nascita di una stella ma qualcosa non ha funzionato, chissà come e perchè. Non lo so, ma sono certo di una cosa: fossi stato il proprietario di una major discografica, dopo questo album avrei immediatamente contattato Jill Jones proponendole un contratto faraonico e carta bianca, con budget illimitato e massima libertà artistica, perchè secondo me aveva tutte le qualità per intraprendere un percorso autonomo, anche senza la figura forse un po' troppo "ingombrante" di Prince alle spalle. Sarebbe stato un flop di proporzioni epiche? Conoscendomi probabilmente si, ma sarebbe valsa la pena di provarci.
E oggi, finalmente nel pieno (si spera) della mie facoltà mentali e cognitive posso rendere a Jill Jones gli onori che merita. Confesso di avere una conoscenza abbastanza limitata del suo pigmalione, ma, spulciando i credits, salta all'occhio una cosa: le canzoni risultano composte da Prince E Jill, tre di loro sono accreditate unicamente alla cantante, che tra l'altro figura anche come co-produttrice dell'album. Ecco perchè le mie risicate nozioni sull'eccentrico artista di Minneapolis non costituiscono un eccessivo problema: Jill Jones non è semplicemente un'ancella su cui imbastire un progetto di basso cabotaggio per riciclare un po' di outtakes, ma una musicista preparata che ha avuto un importante peso specifico nella realizzazione del disco. Partiamo pure da "Mia Bocca" che, ad anni di distanza e con le idee molto più chiare, continuo a ritenere un grandissimo capolavoro Pop, specialmente nella versione "full" dell'album, sette minuti e mezzo di perfetta commistione tra funk e synth-pop, con il lusso di una magiloquente intro sinfonica. Non saprei descrivere questo pezzo se non come un fulgido esempio di perfezione, per la melodia, ipnotica e direi quasi minimale, e soprattutto per l'interpretazione da urlo di Jill, così ricca di brillantezza e sensualità, una sensualità giocosa, fresca, smaliziata ma sorridente, solare. Jill Jones è una cantante sublime, poco da dire; ha una duttilità straordinaria, il suo timbro normalmente sinuoso e sottile sa graffiare e incidere quando necessario, a volte seducente lolita, poi donna algida e misteriosa, diva R'n'B in abiti di gran gala, focosa regina del funk, dolce e romantica quando serve, con garbo ed eleganza. Che classe signori miei, che classe, non c'è Mariah Carey vecchia o nuova che tenga, non c'è divetta o starlette odierna che possa anche solo lontanamente tenerle testa: nessuna sterile dimostrazione di tecnica ed estensione, nessun acuto ad minkiam, un carisma da vera regina.
Si, perchè "Jill Jones" non si ferma solamente a "Mia Bocca", è veramente un gran disco nel suo complesso, solo otto canzoni e non una nota fuori posto, un episodio anonimo (che serva da lezione a chi infarcisce gli album con manciate di roba superflua quasi in preda a un deleterio istinto di horror vacui). "Baby You're A Trip" è una sfavillante pioggia di stelle e lustini, ha l'eleganza, il passo felpato e il fascino glamour per fare da sottofondo a una sfilata di alta moda, come contraltare abbiamo lo scatenatissimo duo funky "All Day, All Night"-"For Love", bollente ma quasi straniante la prima, con una Jill che recita con grandissimo carisma un delirio di passione, senza concedere un attimo di respiro; la seconda è un po' meno indiavolata, una canzone che, se pubblicata una decina d'anni prima, in piena disco-fever, avrebbe sicuramente fatto sfracelli; il cantato si attesta su un registro basso e corposo, che si discosta visibilmente da quello usato nella maggior parte dell'album, dimostrando ancora una volta l'estrema duttilità vocale di JJ. Non mancano neanche ua ballatona in grande stile, "With You", mollemente adagiata su sinuosi fraseggi di chitarra e un vivacissimo episodio camp come "My Man", con un piglio così "sassy" e sbarazzino da far sciogliere anche il più duro e intransigente rocker.
La sensualità classica e conturbante di "G-Spot", un'impeccabile performance synth & sax e l'eleganza agrodolce in abito da sera del midtempo "Violet Blue", di gusto spiccatamente 70's, completano il panorama di un album assolutamente perfetto, tra l'altro di un genere che non frequento abitualmente e che spesso mi è poco congeniale, ma in questo caso c'è veramente una sintonia totale, ascoltare Jill Jones mi mette ancora le *_* stelline negli occhi, proprio come dieci anni fa. Purtroppo non è andata, poteva essere la nascita di una stella ma qualcosa non ha funzionato, chissà come e perchè. Non lo so, ma sono certo di una cosa: fossi stato il proprietario di una major discografica, dopo questo album avrei immediatamente contattato Jill Jones proponendole un contratto faraonico e carta bianca, con budget illimitato e massima libertà artistica, perchè secondo me aveva tutte le qualità per intraprendere un percorso autonomo, anche senza la figura forse un po' troppo "ingombrante" di Prince alle spalle. Sarebbe stato un flop di proporzioni epiche? Conoscendomi probabilmente si, ma sarebbe valsa la pena di provarci.
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