"Blowin' Away" è un album atipico, con una peculiarità tutta sua che lascia l'amaro in bocca ed una sgradevole sensazione di "cosa sarebbe potuto essere se solo..." e non mi riferisco alla copertina pessima (per ammissione della stessa Joanie) ma in qualche modo originale e spiazzante ma bensì alla struttura dell'album medesimo. Forse scottata dall'insuccesso del precedente "Gulf Winds", il primo disco interamente suo, un piccolo capolavoro incompreso, nell'album successivo Joan Baez torna a riproporre la soluzione per lei più canonica ed usuale, ovvero canzoni scritte da altri e composizioni proprie; questa formula per album come "Come From The Shadows" e soprattutto "Diamonds And Rust" aveva funzionato alla grande, qui no, per niente. L'album non è armonico, appare sfilacciato, confuso, frammentario, disomogeneo eppure, nonostante questo imperdonabile difetto strutturale io adoro "Blowin' Away", e lo considero comunque un grande album prima ancora che una grandissima occasione persa.

Joan Baez, come tutti sapete, è conosciuta principalmente come interprete ma in quegli anni è in preda ad un proprio, personale ed irripetibile vortice di ispirazione cantautorale, che in "Gulf Winds" si era finalmente espresso in tutta la sua pienezza e che continua anche in "Blowin' Away", forse con ispirazione ancora maggiore: ecco perché, in un contesto simile, tutto quello che non è farina del sacco di Joanie dà solo fastidio, questo album meritava di essere come il precedente solo e soltanto di Joan Baez, ed in quel caso si sarebbe trattato di un discone da cinque stelle, poco ma sicuro.

Questo senza contare la dubbia qualità delle cover qui proposte: la scialba "Yellow Coat" e l'inutilmente enfatica e melodrammatica "Blowin' Away" sono solo mediocre paccottiglia zuccherosa, che persino una voce straordinaria come quella di Joanie stenta a tenere a galla con dignità. Va un po' meglio con la trascinante "Sailing", ripresa con successo anche da Rod Stewart e il brillante pop-rock di "Many A Mile From Freedom", ma siamo a livelli dignitosi e poco più; ottima invece la conclusiva "Cry Me A River", una bella e celebre torch song degli anni '50 interpretata con calore e sensualità su un morbido arrangiamento jazzy.

Liquidati sbrigativamente i corpi estranei non resta che focalizzare il discorso su Joan Baez, su quanto di suo c'è in quest'album, e si tratta di cinque bellissime canzoni: qui non c'è quell'alone visionario e neanche troppo velatamente dylaniano che aveva caratterizzato "Gulf Winds", in particolar modo "Seabirds", "Kingdom Of Childhood", "Oh Brother!" e la titletrack; lo stile qui proposto è più intimo ma non meno affascinante.

La stupenda ballata "Miracles" sembra quasi emergere dal soffuso chiarore dell'alba, per poi crescere colorando la sua anima folk di tinte soul e jazz, in un flusso armonico di pensieri e riflessioni, mentre "Time Rag" conquista e sorprende con il suo incalzante giro di basso e i suoi gorgheggi di chitarra: un ritmo squisitamente funky che esplode in un ritornello dannatamente orecchiabile; qui Joanie declama un testo decisamente ironico e pungente, facendo proprio con naturalezza e convinzione uno stile per lei non abituale, ed anticipando stilemi che verranno poi ripresi, ed esempio, dalla prima Sheryl Crow.

"A Heartfelt Line Or Two", impreziosita da un breve ma incisivo assolo di chitarra è semplicemente una grande folk-rock song, diretta, immediata, brillante ed interpretata alla perfezione, mentre "Alter Boy And The Thief" dimostra lo spessore di Joan Baez non solo come cantante folk ma anche in contesti più legati ad un semplice pop "sentimentale": questa canzone, un dichiarato omaggio al suo pubblico omosessuale, vede la voce limpida e vellutata della cantante accompagnata soltanto dal pianoforte, creando così un'atmosfera vagamente malinconica senza tuttavia risultare stucchevole, il tutto in una serena, semplice e composta sobrietà che costituisce la bellezza intrinseca della canzone.

L'ultima perla, a mio avviso la migliore, forse il punto più alto mai raggiunto da Joan Baez come cantautrice è la maestosa "Luba The Baroness", un intenso walzer che si distende per sette minuti con una forza visiva ed emotiva quasi cinematografica. Joanie, affiancata da orchestrazioni, pianoforte e mandolini riesce a dare vita ad un sound potente, romantico e neoclassico, un primo e fulgido esempio di operatic pop perfettamente riuscito.

Davanti a tanta magnificenza, viene quasi la tentazione di valutare "Blowin' Away" con una stella per ogni inedito, raggiungendo così il massimo dei voti, ma purtroppo bisogna tener conto dell'album nel suo insieme, che è praticamente come una soluzione di acqua ed olio. Ad aggiungere ulteriore sale alle ferite, c'è anche il fatto che dopo le cinque meraviglie di "Blowin' Away" Joan Baez non sarà più in grado di ripetersi sugli stessi livelli, imboccando già con il successivo album "Honest Lullaby" un dignitoso ma ineluttabile "Sunset Boulevard", e tornando gradualmente ad essere una semplice interprete.

Quella bellissima illusione, quell'impulso creativo degli anni '70 svanisce così a poco a poco; la Joan Baez cantautrice, fatta eccezione per "Diamonds And Rust" non è mai stata veramente compresa, rimanendo purtroppo materia per pochi, affezionati cultori. Un po' come questo album, un'occasione persa, ma non certo per colpa di Joanie.

Elenco e tracce

01   Sailing (04:22)

02   Many a Mile to Freedom (02:58)

03   Miracles (05:24)

04   Yellow Coat (03:37)

05   Time Rag (05:25)

06   A Heartfelt Line or Two (03:23)

07   I'm Blowin' Away (03:18)

08   Luba the Baroness (07:06)

09   The Altar Boy and the Thief (03:29)

10   Cry Me a River (03:00)

Carico i commenti...  con calma