Joe Jackson, genio assoluto del pop rock, nella prima parte della carriera è un fiume in piena di creatività e dal 1979 al 1989 pubblica 10 album (comprese due colonne sonore) e sono quasi tutti album di alto livello, compreso un capolavoro strepitoso come "Night and day" del 1982 e un grandioso album strumentale che va sotto il titolo di "Will Power" (anno 1987), album stroncato da molti critici, ma che invece (mio personale parere) sfiora il capolavoro.

"Big world" si trova poco dopo la prima metà del primo decennio di carriera, siamo infatti nel 1986 e Joe Jackson ha fatto già diversi tour mondiali, un anno dopo l'altro, dal 1978 al 1984, senza quasi mai fermarsi, tour per lui estenuanti psico-fisicamente, ma è soprattutto l'ultimo tour, quello di "Body and soul" (album del 1984) che Joe vicino all'esaurimento nervoso e con poca voglia di ritornare in tour e forse anche di fare musica.

E' solo l'inizio di uno stress psico-fisico che, nel 1991, porterà il musicista inglese a pensare seriamente al ritiro dalle scene.

Adesso però siamo a metà anni '80 e Jackson (seppur stressato dal mondo dello show-business costruito sui singoli da mandare in classifica) è ancora piuttosto giovane e cerca di non farsi imprigionare da quella macchina divora-star che è il mondo dell'intrattenimento musicale. Il suo modo di rispondere al mercato musicale è proporre la sua musica in modo anomalo; se infatti per i primi 4 album (cioè dal 1979 al 1982) Joe Jackson aveva prodotto dei videoclip abbastanza standard a supporto dei singoli, dal 1983 fino al 1988 porterà avanti la sua personale battaglia contro il mondo dei videoclip, produrrà infatti solo due video dall'album "Body and soul" (album per altro inciso "live", anche se in studio), ma i video saranno tratti dalle esibizioni in concerto del tour successivo all'uscita dell'album. Per il lavoro successivo (il "Big World" di cui tratto in questa recensione) la sua ribellione sarà ancora maggiore. In un mondo dove sempre di più le "star" sembrano create spesso a tavolino, con registrazioni in studio artificiose, Joe decide di registrare le nuove canzoni dal vivo, senza nessun ritocco post-registrazione. Quelle che si sentono in "Big World" sono infatti le registrazioni dal vivo di nuovi brani eseguite in un teatro di New York, di fronte ad un selezionato pubblico di spettatori, a cui venne richiesto di non applaudire sino alla completa esecuzione del brano. A supporto dell'album vennero quindi creati dei video (naturalmente "live") che riprendevano Joe e la sua band mentre registravano dal vivo (con tanto di pubblico) le loro nuove canzoni.

Joe Jackson (musicalmente parlando) dal 1979 al 1984 ha già spaziato già in quasi tutti i generi del globo terrestre, dalla classica al rock, dal punk al jazz, e chi più ne ha più ne metta, e questo "Big Wordl" allarga ancora di più la sua ricerca sonora.

La risposta del pubblico è sempre ottima. L'album si posiziona al numero 34 nella classifica di vendite USA e al numero 41 in Inghilterra. In Olanda arriva sino alla 2° posizione e alla posizione 21 in Germania.

"Big world" in definitiva è un bel lavoro e (come avrete capito) molto coraggioso, anche se risente del periodo di stress psichico in cui versava Jackson durante buona parte degli anni '80. Se infatti alcuni brani sono molto belli, vedi l'iniziale ed energico pop-rock di "Wild west" o la rabbiosa e originalissima "Right and wrong", ma anche brani eccellenti come il rock di "Precious time" e "Tonigth and forever" e la conclusiva "Man in the street", o la grande melodia della lenta e avvolgente "Shangai Sky", altri brani sono lievemente meno riusciti, anche se mantengono un bel valore musicale, parlo di canzoni come "Fifty dollar love affair" (con le sue esplosioni vocali improvvise), "Forty years" (lenta e ipnotica), "Hometown" (brano pop molto ritmato) e "Survival" (un afro-rock-cubano piuttosto accattivante).

Ma non tutto è però riuscito (l'album è probabilmente troppo lungo, 3 facciate, per un totale di oltre 60 minuti di musica). "We can't live together" è apprezzabile, ma troppo lenta e senza mordente, "Tango atlantico" è carina ma non eccezionale, lo stesso si può dire per il rock di "The jest set" e jazz-rock di "Soul kiss". La maggior parte dell'album è comunque di un livello piuttosto elevato, anche se non siamo dalle parti del capolavoro.

Quindi non un album perfetto, ma un lavoro comunque di qualità e da sentire e risentire assolutamente (e magari molte volte).

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