Un giovane scrittore radical chic, leggermente utopista, dotato di talento e svampito è alla ricerca del successo vero. Completamente diverso da quello vacuo, insipido ed agoniato dai più: fatto di rumorosi applausi, consensi/critiche al miele e soldi a palate. Uno scrittore, oramai universalmente acclamato ed osannato a Broadway, è vicinissimo a poter raggiungere il proprio obiettivo: rifiutare con sdegno la gloria terrena per tentare di palesare all’intero mondo del teatro l’importanza basilare delle storie comuni, fatte da gente comune. Ed è così che Barton si ritrova logicamente...

...ad Hollywood!?? 

A scrivere un intenso e profondo film sul wrestling. Ma non il solito b-movie. Sia mai. Questo capolavoro deve avere quel tocco alla Barton Fink, cazzo. Glielo ricorda, con fare affabile, il produttore lanciandogli qualche spunto. Meglio se quest'opera termina con uno scintillante combattimento del nostro eroe frutto di un’infanzia miserevole da riscattare o dell’amore di donna da conquistare. Sì, insomma, un orfano. L'amore di una donna, forse tutti e due: perché no?

Se ci si basa sulla mera trama a ¾ del film si perde la bussola e nel finale contorto lo spettatore corruccerà la fronte ed inclinerà la testa, come un cane che guarda perplesso il padrone pensieroso. Due dimensioni, sogno/realtà, sembrano progressivamente mischiarsi e quasi fondersi fino al salto conclusivo nella musa ispiratrice del nostro Barton. Un pezzo di tela malamente pitturato. Nonostante il finale enigmatico, spiazzante e per nulla risolutore, rimarranno nelle pupille dello spettatore la bellezza delle inquadrature. E poi quel montaggio così preciso ed appagante, la scenografia al limite del maniacale nel riproporre gli USA anni '40, la certosina qualità dei dialoghi alternati a lunghi silenzi e zoomate, il contrasto tra i personaggi così antitetici e meravigliosamente interpretati da John Turtutto e John Goodman, il prezioso cast di contorno e la musica in simbiosi con l‘andamento ondivago della pellicola.

Ad una seconda e poi terza visione il fumo si è diradato e mi è parso in tutto e per tutto una parodia in parte autobiografica. I fratelli Coen nel ’91 si sentivano all’apice dopo i primi lodevoli lavori (“Blood Simple” per esempio) e molto probabilmente al pari di Fink non avrebbero avuto problemi a staccare un bel contratto da qualche majors per svendersi al cinema più facile e redditizio. Barton decide di alloggiare in un albergo un tempo conosciuto e rispettabile. L'ambiguo e sinistro portiere (Steve Bushemi) che sbuca da una profonda botola, il perenne caldo che attanaglia le stanze del palazzo, l’addetto dell’ascensore (molto simile ad un traghettatore di anime perse nei vari gironi) e le urla, i lamenti, degli inquilini non fanno che conferire alla stamberga un posto dove espiare i propri peccati più che un hotel. Sì, l'inferno. Perché è così, con tinte di humor nerissimo, che ci viene dipinta la grande Hollywood casinara, ubriacona, puttaniera, ondigava e imprevedibile come un rollercoaster. Il luogo più lontano possibile dalla meritocrazia: incapace di giudicare un capolavoro esulando dai biglietti verdi.

La situazione nella quale si è cacciato Barton viene riassunta con maestria straordinaria in un minuto. Lo troviamo, il cappelluto protagonista, intento a scrivere, cercando di uscire dalla ima buca nella quale si era incredibilmente affossato; in cerca di disperata/paradossale ispirazione per un B-movie osceno la cui trama potrebbe essere scritta da un ragazzino delle elementari. L’inquadratura si allarga e la carta da parati, posta sopra il suo letto, con flemmatica lentezza si srotola. La osserva, quasi perplesso ed imbambolato, con la bocca aperta. Capisce, forse intuisce, che altro non è che la sua vita. Salta sul letto e con tutta la precisione possibile la riattacca. Un palliativo. La puntellerà. Ma ricadrà, come per tutti i dannati inquilini dell’albergo.

Non il loro migliore lavoro ma, come spesso accade, appagante e con spunti geniali. Non immediato, interpretato in maniera superlativa dai due solisti e meritevole di più visioni per riuscire ad apprezzare ed assimilare completamente ogni singolo particolare.

ilfreddo

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