La natura umana è meravigliosa, sfaccettata in miliardi di sfumature che alla fine distinguono e caratterizzano un uomo e la sua vita.
I Coen ormai sanno il fatto loro e come negli altri loro film non hanno problemi a dar vita a un affresco sociologico e dipingono quello che era il Mississippi durante la grande depressione.
Il film è un continuo parallelismo con le avventure di Omero nell'Odissea, non a caso il protagonista, un bravissimo e convincente "Clooney" ha il nome di Ulysses Everett McGill; il Mar Egeo d'improvviso si trasforma negli sconfinati campi di grano riarsi dal sole dove spiccano solitarie piccole isole di umanità, e intendiamoci per umanità si intenda ben lungi dalla sua accezione positiva ma dal punto di vista meramente classificativo.
La storia è presto detta, tre galeotti trovano il modo di scappare da una vita di lavori forzati forse una metafora di chi in qualche modo riesce a liberarsi delle catene del suo destino e intraprende un viaggio che si prospetta sin da subito pericoloso e difficile, sia perché la libertà umana è costellata di imprevisti e ambiguità, sia perché non ci vuole molto che i nostri vengano subito braccati da uno squadrone di agenti capitanati da un freddo sceriffo simbolo del destino stesso ovvero quello di venirne schiacciati, masticati e assoggettati.
Il cammino dell'uomo come già detto è irto di ostacoli e se ne trovano di ogni tipo e fattezza; infatti i nostri si dovranno destreggiare tra sirene adescatrici, ciclopi truffatori, parenti traditori, politici meschini e banditi che si credono dei. Insomma un pout pourri infinito di situazioni che espongono i tre a un viaggio, una sorta di sintesi della vita umana fatta di contraddizioni e dubbi e al tempo stesso un viaggio sintomo di un continuo divenire.
Il film prosegue e trascina lo spettatore volentieri anche dal punto di vista meramente narrativo, e le citazioni e le allusioni all'opera omerica sono molteplici; il tutto condito anche da divertenti situazioni un pò surreali alla maniera dei Coen mentre la pellicola è costantemente accompagnata da musiche country, blues e ballate tipiche dell'America del sud .
Colpisce molto una figura particolare nel film, ovvero il bandito George Nelson, un ardito rapinatore di banche costantemente preso dall'euforia dell'essere e dalla felicità che gli procura fare il suo mestiere e il suo modo di vivere, nonostante tutto pochi istanti dopo cade in una depressione spiazzante quasi che tutto ciò che faccia perda di valore, un pò un'esemplificazione della vita e dei sentimenti, ovvero una costante altalena di emozioni che a volte danno senso alla vita e a ciò che facciamo altre volte tolgono significato alle nostre azioni.
Film piacevolissimo che nonostante i contenuti densi di significato non eccede mai nel moralismo e nella pesantezza, da vedere assolutamente!
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Altre recensioni
Di stargazer
Più che il tesoro però, ad Everett interessa tornare il più presto possibile da sua moglie Penny, prima che si risposi.
La musica diventa la vera protagonista della scena, tanto da sembrare un musical in alcuni frangenti.
Di tiziocaio
Un ritratto di uno splendido e rude perdente come nella più alta tradizione dei fratelli Coen.
Avvolgente come un comodo plaid, magari con un gatto di nome Ulisse al nostro fianco in una bettola semiilluminata come il Gaslight Cafè.
Di JpLoyRow2
Davies è un fantasma che s’aggira incosciente nelle strade di un’America kennedyana il cui “Big Dream” sembra essersi perso nella neve di Chicago o nelle case, tutte uguali, di New York.
La sceneggiatura dei due autori mescola e rimescola le carte in continuazione, costruita con una struttura circolare che sorprende nel finale.