Era Lou quello che finiva sulla copertina di Ciao 2001. Era Lou il songwriter. E le ballate, che qui si parla di ballate, sono una faccenda da songwriter.

Eppure non era solo quella nevrotica mezza checca ad avere la specialistica in paranoia. Anche quell'altro, ex bimbo prodigio e fottutissima testa d'uovo, non scherzava. Solo che le nostre informazioni all'epoca erano diverse. E dicevano che era stato il signor Lou Reed a buttar quintalate di quell'amara sensazione nel crogiuolo Velvet. L'altro, Cale, non era che l'addetto alla temperatura del fuoco. E quindi la paranoia, così ben rappresentata da brani come “I'll be your mirror” “Sunday Morning” “Venus in furs” “All tomorrow parties”, noi, sbagliandoci di grosso, al solo Lou la associavamo.

Eppure, salvo rare (e comunque favolose) eccezioni, le atmosfere, sinistre e insieme ammalianti, tipiche del primo Velvet, nei dischi di Lou non ci sono. In quelli di Cale invece si. Solo che noi quei dischi mica li ascoltavamo. Furono i Bahaus a portarci sulla retta via e lo fecero pubblicando un sette pollici contenente una cover di “Rosegarden funeral of sores”, brano la cui bellezza ci costrinse ad andare a ritroso. Fu allora che scoprimmo che pure lui, il Cale, (tal quale all'altro e forse anche di più) era in possesso dello speciale stampino “creeping inside”.

E scoprimmo pure che, a parte l'imprinting Velvet, la ballata poteva declinarla in mille modi diversi: crepitio psichedelico, senso di nostalgia, dolcezza da KO..Sempre nel segno di una raffinatezza senza pari, priva cioè delle sembianze che sovente la raffinatezza ha, ovvero quelle del rigor mortis. Fu quindi il ghiaccio fuoco di “Rosegarden” a farci capire.

“Rosegarden funeral of sores”, lato b di questo meraviglioso 45, è una strana, stranissima bestia. Ed è una ballata, ovviamente...Una ballata quasi wave.

Immaginate: un andamento ossessivo e quasi minaccioso; i colpi secchi di una ritmica tesa, una voce, cupa e stravolta, con qualcosa del Morrison più sciamanico. E, a dare il colpo di grazia, spaventose bordate d'organo quasi alla Suicide. Il risultato fa accapponare la pelle. L'idea è quella di qualcosa di ineluttabile.

“Le emozioni -scrive qualcuno in rete- sono elencate con distacco, quasi per presa visione” E, sempre quel qualcuno, per descrivere la sensazione di brivido e di freddo che il brano produce, dice che “l'organo incastra la traccia del ritmo cristallizzandosi su di esso come i minerali sul vetro”. Non si può dir meglio.

“Mercenaires (ready for war)” è invece un rock piuttosto robusto che via, via si carica di rabbia e di chitarre. con la voce di Cale che arriva fino all'urlo sguaiato.Una incredibile potenza a rendere, ancora una volta, l'orrore o la paranoia dalla quale siamo partiti. Il titolo del resto è piuttosto esplicativo.

Trallallà...

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