"I DON'T BELIEVE IN JESUS, I DON'T BELIEVE IN HITLER, I DON'T BELIEVE IN BUDDHA, I DON'T BELIEVE IN KENNEDY, I DON'T BELIEVE IN BEATLES, I JUST BELIEVE IN... ME" J. L.

DOMANDA: AVRESTI CREDUTO ANCHE IN QUESTO ALBUM? Qui siamo nei paraggi di una divinità, una mito e quindi un "intoccabile" e tutti quelli che osano solo sfiorare una "divinità", da sempre, vanno incontro a polemiche, anatemi, indigniazioni e accuse pesanti ("come hai osato parlar male di John Lennon?!"- "Lui è più famoso di Gesù Cristo!" - "Ha scritto la bibbia del Rock" e via discorrendo) ma non rinuncerò a dire la mia su questo album prodotto dalla giapponesina nana che da una vita vive da sempre all'ombra del più dinoccolato e impegnato scarafaggio dei quattro. L'album è una specie di tributo ai classici del nostro interpretati con voce e chitarra, un'operazione furbetta e francamente inutile che denota sia l'attitudine intimista del nostro ma che alla lunga mostra il fiato corto e, al di là di 4/5 episodi veramente belli, ci spiattella un disco noiosetto e a dir poco molliccio. Un disco delicato e tenerone ("Love") rassegnato e malinconico a tratti ("Look At Me") recuperato e assemblato da tapes e registrazioni casalinghe, provini e brevi flash recuperati chissàdove pur di mettere assieme un disco decente.

Non posso dire che sia un disco brutto, ma certo le canzoni non sono tutte all'altezza (cazzo, è sempre John Lennon!!) e alcune sono abbozzate e tirate via nell'esecuzione ("My Mummy's Dead") o alcuanto datate nelle tematiche sessantottine e pacifiste (in "God" John dice di non credere a nessuno, e spiattella una sfilza di nomi che vanno da Dio a Budda, Kennedy, Elvis, Dylan etc. per poi rivelarci di credere solo in se stesso - alla faccia dell'Ego! - ricordo poi una canzone praticamente identica di Claudio Rocchi... qualcuno se la ricorda?). Altre canzoni sarebbero impublicabili e/o inascoltabili da qualsiasi parte le si ascoltino (vedi "Cold Turkey") ma si sà, anche la pisciata del santo è sacra. Un tuffo nei favolosi 60ies con i due estratti live "The Luck of the Irish" e "John Sinclair", carucci ma nulla più. Certo, la parte che più colpisce sono i testi veramente avanti per l'epoca e brutalmente spiazzanti (basti la bozza di "Woman Is The Nigger Of The World": 40 secondi per un pugno allo stomaco al perbenismo e alla morale di oggi come allora). Si scorrono veloci questi 70 minuti farciti di canzoni pop-rock di facile presa ("What You Got" o "Watching The Wheels") sussurrate dalla voce gentile e delicata in apparente contrasto con la grandezza e l'acutezza del personaggio, visionario e "avanti" nel profetizzare scenari ideologici e politici misti alla delicatezza nel trattare la visione delle piccole cose. Certo di cadute ce ne sono non poche ("Dear Yoko") ma altri pezzi ci abbozzano il carattere geniale, stralunato e anarchico di un Lennon intimo e privato ("Real Love" mezza sputtanata dagli altri tre su Antology o la sempreverde "Imagine") che chiude un album fragile come pochi, accommiatandosi col fischio leggero e disincantato di "It's Real", 68 secondi di puro scazzo e disimpegno.

A livello tecnico e razionale avrei dato un voto da 2 a 3 (certe canzoni le potevano fare anche Renga o Tricarico...), poi però mi son detto "ecchecazzo, però è John Lennon e mica si può!" e dopo un riascolto col cuore in mano sul lato emotivo ed emozionale (con il santino di Lennon nell'altra appunto) mi è venuta voglia di dare un 4 pieno.
La mia domanda è: se lo stesso album, stesso identico, lo avesse fatto, che so, James Last o John Denver, avrei dato lo stesso voto? Quanto influisce l'autore, il suo mito etc, in sè sul giudizio intrinseco del disco? Mah, indipendentemente da chi l'abbia fatto (dimenticandomi tutte le paranoie) direi, alla fine, un disco carino, niente di speciale e prescindibile dai lavori già editati dal nostro. Voto 3 (e "Lui" approverebbe, oh se approverebbe... )

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