Si narra che quando questo album uscì, un certo James Marshall Hendrix, non ancora noto come Jimi, scioccato dopo aver ascoltato Eric Clapton suonarvi, corse a procurarsi gli amplificatori Marshall usati per l'incisione. Ovviamente noi non potremo mai sapere se sia solo una leggenda o la nuda realtà, ma è un aneddoto che fa comprendere lo shock provato non solo da Hendrix quando "Bluesbreakers With Eric Clapton" apparve nel 1966.

Anzittutto, chi era (e ancora è, lunga vita al re del British Blues!) John Mayall: all'epoca era già un ultra trentenne, alla faccia degli sbarbatelli che occupavano la scena pop e beat. Appassionato sin da giovanissimo di blues (in particolare di J. B. Lenoir), lo suonò e cantò con passione nei momenti di tempo libero (di professione era vetrinista e grafico) in anni in cui era un genere praticamente sconosciuto ai più. Poi un bel giorno, nella sua Manchester, lo scoprì un altro pioniere del British blues, anzi forse l'inventore e scopritore assoluto del genere: Alexis Korner. Quella di Korner era una vera e propria fucina di talenti, che si esibiva nel suo locale gestito assieme a Cyril Davies, una fucina peraltro restia a compromessi col pop e il beat: sono gli anni in cui si diffonde il r'n'b americano, e ci sono alcuni esponenti che rimangono fedeli ai dettami originali, altri che invece di volontà propria o sotto costrizione di manager petulanti cedono al fascino del business, talvolta dopo essere passati proprio per la scuderia di Alexis. Non è assolutamente il caso di John, che convinto dal suo scopritore decide di dedicarsi a tempo pieno alla musica, costruendosi i Bluesbreakers come gruppo accompagnatore.

E non è nemmeno il caso di Eric Clapton: sì proprio lui (provate a dimenticare per un attimo certi episodi più o meno recenti che col blues centrano poco o nulla). Indignato per la svolta beat dei suoi Yardbirds, già abbastanza conosciuto nel'ambiente per il suo inimitabile modo di suonare la chitarra, Eric accetta di unirsi ai Bluesbreakers di Mayall; siamo nel 1965, e il gruppo entra, dopo una serie di vere e proprie discussioni con la casa discografica, la Decca (che ha intuito le potenzialità della band, ma preferirebbe di gran lunga una musica meno intrasigente nei confronti delle mode dell'epoca, una sorta di nuovi Rolling Stones insomma), in sala di registrazione per incidere l'album in questione.

Fin dalla copertina si evince il carattere di Mayall e compagni: niente facce acqua e sapone, ma nemmeno aurea da giovani teppisti dall'aria pericolosa e minacciosa; piuttosto seri e preparati performers in grado di elettrizzare dai palchi di bui, sporchi, puzzolenti e fumosi club londinesi, tanta fedeltà ai maestri e consapevolezza delle proprie capacità strumentali per poter portare oltre il discorso dei loro ispiratori. 

Oggi mettere l'ampli a palla e sperimentare feedback nel proprio garage può far sorridere come pure fare la felicità di tanti adolescenti che si cimentano a suonare la chitarra elettrica (mi sento tuttavia di sconsigliarvelo: rischiate di far fuori l'ampli, e soprattutto di far fuori l'udito), ma alla metà degli anni'60 erano considerati effetti speciali da guerre stellari: se oggi sentire il pezzo d'apertura, "All Your Love", vero e proprio inno rockblues, travolge e appassiona, in quegli anni sciocca, non solo il povero Hendrix; "Hideaway", "Little Girl", "Key to Love" e "Steppin' Out" sono gli altri travolgenti pezzi che rivoluzionano il modo di suonare il blues, con ritmi accelerati, assolo ancora per noi fulminanti; pezzi in parte originali, in parte cover di Willie Dixon, Otis Rush, Mose Allison, Freddie King, Ray Charles (una bella versione di "What 'd I Say", con tanto di assolo di batteria di Hughie Flint...chissà cos'avranno pensato Ginger Baker e John Bonham quando la sentirono...) e Robert Johnson, dove udiamo un giovane e ancora alla voce incerto Eric Clapton cantare. La voce negli altri pezzi è invece quella stridula e acuta di Mayall, e canta di sesso con minorenni, diavolo, tentazione, insomma altro che canzonette per teenager innamorati propinata dal pop dominante dell'epoca; Mayall si cimenta inoltre all'armonica, al piano, all'organo e alla chitarra. Il tutto è contornato dalla possente e precisa sezione ritmica del già citato Hughie Flint e del bassista John Mc Vie, non ancora il miliardario di "Rumors" e "Tusk"; infine in "Have You Heard" compare anche il sassofonista Alan Skidmore.

"Bluesbreakers With Eric Clapton" segnò un punto di svolta indelebile per il blues e il rockblues, gettando le basi per la successiva evoluzione hard e heavy: influenzò parecchi musicisti, e gruppi come Cream, Led Zeppelin e Free, solo per citarne alcuni, devono senz'altro qualcosa a questo disco. Disco che funzionò poi come testo base per le opere successive di Mayall coi Bluesbreakers, seppur con le inevitabili differenze dovute ai vari chitarristi che si avvicendarono nella formazione (e parliamo di gente come Peter Green e Mick Taylor, sì insomma, non  proprio gli ultimi arrivati); i Bluesbreakers persero infatti subito nell'estate '66 Clapton, fresco fresco del soprannome (altra leggenda?) "God" sui muri di Londra, che dopo una breve vacanza con Stevie Winwood nei Powerhouse formò proprio i Cream e divenne quello che tutti noi oggi conosciamo.

 "Bluesbreakers With Eric Clapton", a differenza di molti altri dischi dell'epoca, mi capita ancora spesso di sentirlo, oltre che in casa, in tantissimi pub e locali, certamente non più fumosi come quelli di Londra del 1965 ('sti divieti...), ma fortunatamente spesso un pò più puliti, e ogni volta, irrimediabilmente, il mio piede sotto la gamba del tavolo inizia a battere il tempo sul pavimento, rigorosamente di legno. A proposito, John ha 75 anni, gode di buona salute e continua a suonare in giro, anche in Italia. Che possa campare altri cent'anni.

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