John Renbourn ha fatto parte di una delle più belle realtà del folk britannico degli anni sessanta-settanta. I Pentangle. A dire il vero ben prima di prendervi parte, era già noto ai fan del genere per i suoi album solisti. Sia gli album solisti di John che quelli dei Pentangle furono incisi per la Translatlantic. Nel 1971, causa le solite noie contrattuali tra artisti incontentabili ed editori che manco ci provano ad accontentarli, i Pentangle e la Transatlantic erano ai ferri corti. John però volle incidere un ultimo album per quell'etichetta.
Dovete sapere che quelli della Transatlantic nella prima metà degli anni sessanta, armati di un apparecchiatura di registrazione portatile, usavano frequentare l'appartamento che John Renbourn e Bert Jansch condividevano vicino al Tamigi. Nel soggiorno di quell'appartamento furono incisi i primi lavori solisti dei due autori. A John piaceva questo approccio "fai da te" all'industria discografica. Per questo, nonostante l'imminente divorzio, nel 1971, volle regalare un ultimo album a quelli che in fondo continuava a considerare galantuomini.
"Faro Annie" è un "quasi album dei Pentangle" Ad accompagnare John ritroviamo infatti alcune sue vecchie conoscenze: Terry Cox alla batteria e Danny Thompson al contrabbasso: ovvero la sezione ritmica dei Pent. C'è poi Dorris Henderson, ex fiamma di John e compagna di molti concerti. La Henderson, in alcune composizioni, con i suoi acuti in contro canto, rende ancor più lievi ed eterei i versi del Renbourn, un po' come usava fare la divina Jacqui Mc Shee in "Basket of light", "Sweet child" ecc... C'è poi la "nuova" fiamma di John, Sue Dreheim che suona il violino (non male davvero la ragazza...) e l'amico Pete Dyer che suona l'armonica. Insomma un album fatto in famiglia...
Il genere dominante è il blues. Ma è un blues appena sospirato. John canta sottovoce ma non certo in maniera sommessa. In alcuni brani sembra che questa calma annunci una tempesta che però rimane fra le righe del testo e le note. D'altro canto guardate quel ragazzo paffuto nella foto di copertina: non ha l'aria di un tipo tranquillo e pacato? Anche lo stile chitarristico di John Renbourn prevede il volume basso e poche note suonate con un gran tocco e un gran gusto. Bill Leader, il produttore del disco, nelle note di copertina racconta che durante le sessions John suonava così tranquillo e "silenzioso" che a volte si sentiva di più la frizione dei suoi polpastrelli sulle corde fra una nota e l'altra, che le note medesime...
"Faro Annie" si apre con "White house Blues" e continua con "Buffalo Skinner" In questi due brani, ma anche in "The Cuckoo" e alcuni altri, John pare un ideale ibrido tra un bluesman e un trovatore trecentesco. L'arpeggio della chitarra è in pieno stile a stelle e strisce, il cantato ha un che di cronachistico. Ciò però non toglie nulla alla solennità delle composizioni, anzi vi dona un tono di monito che farebbe rabbrividire anche l'ascoltatore meno sensibile. Nel secondo pezzo e in "The Cuckoo" il sitar dona quel sintomatico mistero che curiosamente ben si sposa con la musica popolare americana. Con "Kokomo Blues" inizia il groove che trova un ideale continuazione in "Shake Shake Mama" (and i'll give you a diamond ring, and if you don't shake mama ain't gonna give you a diamond ring). Qui Danny Thompson e Terry Cox son sugli scudi e suoi loro scudi la chitarra di Renbourn troneggia dilatando le note a forza di Wah Wah, mentre l'armonica furba di Pete Dyer le risponde per le rime.
Con "Willy O' Winsbury" siamo in piena fascia Pentangle. Lo stesso pezzo si può anche sentire in "Solomon's seal". La differenza tra la voce della Mc Shee e quella di Renbourn è notevole, e per questo John si fa aiutare dal violino della Dreheim. La melodia comunque è troppo bella e rinascimentale per non esserne deliziati. I protagonisti della canzone sono un bel popolano (Willy), la figlia di un re, e il re medesimo. Questa in sintesi la loro storia: appena tornato dopo una lunga prigionia in Spagna, un re viene a sapere che la sua bellissima, giovane figlia si è nel frattempo innamorata di un uomo di bassi natali. Il re offeso per l'indegna relazione condanna a morte Willy of Winsbury. Ma trovandosi faccia a faccia con quel bel giovine, non ha il coraggio di mandarlo alla forca, perchè: "For I was a woman as I am a man, my bedfellow you would have been..." Insomma ancora un po' e pure il buon re si innamora di Willy O' Winsbury... Per farla breve il monarca offre a Willy di sposare sua figlia ed ereditare il suo regno. Willy accetta di sposare sua figlia, ma non di ereditare il suo regno. Certo la morale di questa storia ci fa sentire tutti più buoni, ma, non so perchè, non riesco a evitare di pensare che 'sto Willy sia un po' coglione... Comunque la canzone è notevole... Come del resto tutto l'album...
Ah, quasi dimenticavo... C'è pure una cover di Robert Johnson: "Come on in my Kitchen"... Insomma non so davvero che cosa si possa pretendere di più da un album di blues...
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