Benché si tratteggi quale ennesima scelleratezza esclusively Gion/Zornense il de-platter che andremo scientificamente (si farebbe per dicere, naturellement) a prendere in esame, altro non è ché l’ennesimo sferragliante und perfectamente solido sound-progetto edificato dalla genuinamente proteiforme, caustica, iridescente, multigrada, Zornesqua etiquetta, nel quale confluisc(i)e copioso il frutto della inusitata collisione/incrocio esperienzial/acustica di trois ben noti loschi [perlomeno nello baluginante und assai nerboruto contesto preso in exame] figùri, quali: Sua rantolant/contorsionisticità vocale Messer Miguel Patton, Sua polipeggiante drummeristicità Mister Joey Baron et (sempre)Sua scarnificatorea (oserei azzardare Symbadistica) bassisticità Monsieur Trevor Dunn: il misfatto accade, claro como el sol, non senza una cospicua dose di correità et sotto il vigile (non particolarmente urbano)oculo/supervisionem del noto spe(t)z[et](i)ante und spaziante sound-chef Cavalier Giovanni Zorn.

Dopo i primi irretiti et per taluni versi cagionanti-perplessità ausculti, ad approfonditamente origlio-badare l’inquieto/ante lunar-poppante, si tratteggia quale felice audio-proponimento fantasticamente quanto tzadikzionalmente ostico (oltreché agnostico, as usual): ciùò che (chaos)organizzano in quodesto corposissimo et a tratti difficile/mente digeribile audio-timballo è un “agevole et delicato”, rutilant/frizzante, estiveggiante discherello da portar (magari) avec nous sotto gli ombroseggianti ombrelloni ad integhratzionem delle lievi e carezzevoli maestralizie brezze giungenti dalle prospicienti acque: connubio che dovrebbe render più sopportabili et gradevoli le tiepidamente-canicolari contemporanee giùornate estive.
[Nota (mica tanto) marginea: nella eventualità lo si percepisca (esso: il pantagruelico disquo) senza il consigliabile apporto auricolar-cuffiforme, provvederà in buona sostanza e nel breve volgere di miserrimi 40 minuti primi, altresì a sfoltir vistosamente le humane presentzie circostanti: classico casus di tre gabbiani (siamo al mare or not ?) con quarto di fava: ottima musiqua et tanto espatzio a dispositzionem, cosa chiedere-loro di plùs ?]

But, pourquoi persiste sempre un mais, potrebbe anche verificarsi l’inusitato/inverosimile: ovverosia che l’accaldat/sudaticcio attorniante beach-pueblo tramortito dagli ennesimi tormentoni disco/estiveggianti conceda imprevista (e improbabile) auricolar-attenzione già a partire dallo esplodente incipit contrassegnato “Hellfire” con i suoi ossessivi, béudini schiamazzi vocalici (con un Michele in forma a dir poco smagliante) intercalati all’interno delle squassanti contorsioni timbrico-ritmiche dei due generosi compagni di (s)ventura, acrobazie qvé raggiungono il proprio inusitato apice/climax qualche minuto più in là nella fantasticamente scoordinata Caligula” o nel perentorio assalto (con tanto di iper-rantolante basso a là -formidabili- NoMeansNo) sonico trattenuto really a stento nella forsennata “Equinox”, nella autenticamente posseduta "Possession" e/o nella impietosamente squilibrataLe Part Maudit”.

Tranne qualche sparùto und semi-incomprensibil/nebuloso divertissement, (“The Summoning” o la stessa enigmatica title-track) che sembra esser posizionato più che altro per tentar di conceder tregua (a modo loro, of course) agli auricolarmente trafitti auscultatori, “Moonchild” si configura nella sua pressoché interezza quale magistrale ancorché rovinosa audio-opera dal peso specifiquo tanto abnorme quanto dalle insindacabili fruibili potenzialità che lo posizionano ben oltre la soglia di positiva guardia.

Achtung! Fonti semi-certe, sostengono che si tratti seulement del priméro capitulo di una nuova, sfiancante/infinita serie Zorniana: si salvi chi pùote (anzichénò).

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