I Bon Jovi erano alla fine degli anni 80 una band proiettata nell’olimpo del grande Rock grazie a due album mastodontici che andavano molto oltre il livello qualitativo dell’hard rock di moda in quegli anni: parlo ovviamente di Slippery when wet (1986) e New Jersey (1988).

La band si mette in pausa e Jon Bon Jovi, voce e leader, si dedica alla “sua musica” che evidentemente ha le radici nel rock e pop americano classico a forti tinte blues e folk, quello di Dylan, Jackson Browne, Eagles ed ovviamente Bruce Springsteen.

La leggenda racconta che in una fredda notte del 1980, Jon, non ancora diciottenne, stesse suonando in un pub del New Jersey quando, mentre eseguiva The Promised Land del suo mito Springsteen, Bruce in persona, che si godeva lo spettacolo al bancone, lascia il suo drink guadagnando il palco per accompagnare il giovane: per mesi Jon Bon Jovi raccontò al liceo, dove ancora studiava, di aver suonato con il suo idolo.

Questo Blaze of glory io lo considero un disco in grado di non sfigurare al cospetto dei dischi migliori dei riferimenti artisitici sopracitati, un classico della musica d’autore americana.

Il disco nasce dalla richiesta fatta a Jon da Emilio Estevez di una colonna sonora per il suo film Young Guns II, sorta di sequel del leggendario Pat Garret & Billy the Kid di Sam Peckinpah del 1973 che vedeva impegnato nella colonna sonora (ed anche nel film come attore) Bob Dylan: quella colonna sonora regalò al mondo una delle canzoni più belle della storia della musica, Knockin’ on Haeven’s door.

In realtà dentro Young guns II l’unica canzone del disco ad essere usata in colonna sonora fu Blaze of glory: western song figlia della celebre Wanted dead or alive presente in Slippery when wet, non inferiore, a parere mio alla suddetta: Jon sfodera una interpretazione vocale da brividi, suffragato dalla chitarra magica del grande Jeff Beck e dalla tonante batteria di Kenny Arnoff.

Blood money è un pezzo folk di altissimo livello che profuma della bellezza delle migliori canzoni folk americane, quelle appunto di Dylan e soprattutto di Springsteen, lo Springsteen del 1980, quello di Nebraska e The river che lui, incredulo, aveva avuto l’onore e la sorpresa di avere accanto sul palco: pezzo semplice e breve, tutto voce, chitarra, armonica e fisarmonica.

Santa Fe è una delle più belle canzoni che io abbia mai ascoltato, parla, in modo poetico, di redenzione: un uomo che deve espiare le sue terribili colpe e teme il giudizio divino…..”Dì al mio creatore che può aspettare, sto cavalcando da qualche parte a sud del cielo, tornando a Santa Fe…..Ora non andrò in paradiso, se il diavolo ha la sua strada, giuro che vivrò per sempre tornando a Santa Fe…ho debiti da pagare a Santa Fe, è il giorno del giudizio a Santa Fe , così salvo una preghiera per quando ne ho bisogno al Padre, Figlio e Spirito Santo”. Il pezzo musicalmente è dominato da un bellissimo arrangiamento di archi e dalla voce stupenda di Jon.

Altro pezzo da ricordare è You Really Got Me, breve anch’esso, ma un concentrato di emozioni, western blues vecchio stile cantato a due voci da Jon e Little Richard che ci fa ascoltare anche il suo tocco magico sul pianoforte.

In Dyin Ain’t much of a love è la volta di Elton John al piano e seconda voce: pezzo bellissimo, ballata in pieno stile Bon Jovi, con un testo che parla ancora di peccato e redenzione

“… Morire non è per una vita giovane

E 'troppo tardi per chiedere perdono

Per le cose che ho fatto…”

Se questo disco non lo conoscete io ve lo consiglio di cuore: dimenticate la Bon Jovi (Band), grande band per carità, ma qui c’è un capolavoro musicale fuori dal genere per cui quella band è stata (e secondo me è ancora) grande.

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