Il rumore è quello accomodante e sordo delle pagine che si serrano compresse come tante piccole sardine. Con ampio e lento gesto lo ripongo sullo scaffale adibito alle nuove “vittime” che mi sono piaciute e che in un prossimo futuro leggerò ancora diverse volte. Scorro nella mente i capitoli ben scritti da questo scalatore/giornalista statunitense e quello che rimane non sono la selva di nomi e posti enunciati: troppi, finiranno per mescolarsi in un minestrone denso, ne sono certo. "Aria Sottile" non è magnetico per la particolarità della storia narrata che, al contrario, oserei definire quasi banale; una tragedia figlia di tanti piccoli ed evitabili errori. 

Quello che sconvolge il lettore sono le pagine conclusive e la riflessione amara e vera che snocciola il problema con granitica durezza. Passaggi talmente ricchi che ho sentito la necessità di prendere un evidenziatore e scalfire il libro che sa ancora di nuovo. Il fatto è che quel 10 maggio del 1996, quando persero la vita 12 persone, non fu un giorno di condizioni straordinariamente proibitive e non preventivabili. Ci fu una tempesta: è vero, ma è altrettanto giusto sottolineare che per quanto terribile, una tale manifestazione di inferiorità umana era tipica ed assolutamente normale nella stagione pre monsonica a oltre 8.000 metri di quota. Non dovevano trovarsi alle 16 ancora in vetta. Si ha l’amarissima sensazione insomma, che tutto quel morire fosse evitabile e non catalogabile come fato avverso o frutto dell’ira di Dio.

BANALIZZAZIONE DELLA “DEA MADRE”

La conquista del tetto del mondo comincia quando verso la metà dell’800 viene localizzato il punto più alto del pianeta. Subito il nome viene occidentalizzato passando da quello storico di Chomolangma (Dea Madre dell'Universo) a quello di Everest in onore del geografo britannico. Dopo tre decenni di romantici tentativi tocca a Edmund Hillary ed allo sherpa Tenzing l’onore di raggiungerne la sommità nel 1953. Da allora L’Everest è stata vituperato e banalizzato proprio perché, da un punto di vista alpinistico, non è particolarmente complesso. Il K2 per dire lo è molto di più e per questa sua relativa “facilità” è stato venduto al migliore offerente per intascare introiti sempre maggiori derivanti dai diritti di scalata, in questa zona sacra rilasciati dal Tibet. Al principio erano scalatori romantici più o meno preparati, poi professionisti formidabili aiutati dagli indispensabili portatori. Solo infine sono arrivate le spedizioni commerciali (vero oggetto del libro) di semi-profani pronti a staccare assegni da capogiro per poter dire: ho davvero toccato il cielo. Lo scalpo dell’”Everest” diventa ossessione per alcuni: una droga che manda in frantumi matrimoni e vite. 

Un obiettivo importante dovrebbe essere frutto di un tragitto lungo, il cui selciato dovrebbe essere composto da esperienza, fatica e soprattutto molto, molto tempo. La società contemporanea tuttavia sembra essere sempre così avara di tale eterea materia e con il denaro tenta di sopperire le mancanze. Jon Krakauer, ex alpinista di discreto livello, ha la possibilità, tramite la sponsorizzazione del giornale per il quale lavora, di scalare L’Everst a 41 anni nel 1996 partecipando ad una spedizione commerciale per descrivere dall’interno il fenomeno in piena espansione. L’assalto alla vetta diventa, come accennato, un calvario ed "Aria Sottile" parla del discutibile senso di tutto questo. Il libro diventa una rasoiata contro l’affollamento assurdo in un posto ai limiti della sopravvivenza umana: dove l’aria è sottile 3 volte di più rispetto a quella metropolitana e dove la possibilità di incorrere in edemi polmonari/cerebrali, allucinazioni e congelamenti è molto alta. Nei momenti topici della scalata la montagna sacra e divina viene tragicamente descritta come un ingorgo, un terrificante valzer di ramponi e corde sull’Hillary Step. Così su quei 12 metri verticali tre spedizioni diverse si attorcigliano, per la foga di arrivare alla vetta distante solo un centinaio di metri. Si devono attendere ore vitali affinché giunga finalmente il proprio turno. Il tempo comincia a gustarsi e sarebbe saggio tornare indietro. Dannati condizionali…

LA NON ACCETTAZIONE DEL LIMITE

"Thin Air" spiega la non accettazione del limite. Da parte delle guide che si credono, con il loro impressionante curriculum vitae alle spalle, dei in terra invincibili ed arroganti e da parte di alcuni clienti non adatti a sfidare una montagna senza l‘apporto decisivo di sherpa, bombole e guide. Scalatori che, nei peggiori dei casi, non sanno quasi mettersi i ramponi e hanno pochissima esperienza di alta montagna (come nel caso di KraKauer), e comunque si tuffano si tuffano di testa convinti di pagare le guide non tanto per far prendere loro le decisioni corrette in un ambiente dove la razionalità è merce rara, ma per essere letteralmente portati in alcuni estremi casi diritti fino all'obiettivo. In tale contesto un imprevisto, un ritardo nell’ascesa, un errore di valutazione, un ingorgo, la fine improvvisa dell’ossigeno con conseguente malore può vuol dire morte.
Il fatto è che molti vorrebbero essere campioni di qualche sport, musicisti o cantanti di successo ecc… ma per fare ciò serve una cosa che non si può comperare: il talento e la perseveranza dell‘allenamento. Paradossalmente la conquista dell’Everest per una persona normale, dotata di buone condizioni fisiche, nell’età contemporanea ha un prezzo che nulla ha a che fare con il sacrificio e il talento: 65.000 dollari, nel 1996. 

Queste 300 pagine sono le possibili conseguenze. Basterebbe poco per l‘autore: non permettere di scalare con le bombole perché rimanerne senza all’improvviso è fatale. Il corpo umano ci avvisa del pericolo, dei nostri limiti e le bombole possono rivelarsi una trappola mortale in una zona dove il soccorso è quasi impossibile. Evitandone l’uso, si lascerebbe l’Everest e tutte le vette sopra la cosiddetta zona della morte alle sole rare persone che sono capaci di sfidarlo in maniera onesta accettandone i rischi. Si eviterebbe l’intasamento, l’indegno ammasso di rifiuti, e si darebbe dignità a una montagna che è stata spremuta fino al midollo e banalizzata. "Aria Sottile" è un libro forte che lascia l’amaro in bocca, ferisce e picchia duro su questi tasti, su come si sarebbe potuto evitare il tutto e su come questa tragedia non sia servita a niente. Prima o poi accadrà di nuovo. Krakauer ne è convinto. 

I capi spedizione Rob Hall e Scott Fischer (che pagheranno con la vita) si sono sentiti invincibili e talmente bravi da poter riuscire a portare tutti in cima presi da una competizione interna per avere la leadership nel settore. E’ palese tuttavia che l’autore con "Aria Sottile" faccia un j’accuse all’esistenza stessa di questo mercato in generale e non tanto ai suoi amici scomparsi per i quali prova reale sconforto e compassione. E’ giusto questo marketing? Che la popolazione contadina che ha vissuto per secoli in armonia in questa landa austera e magnetica sia condannata a diventare portatrice di milionari affamati di gloria? Per quello che è accaduto nel ‘96 accusa anche a sé stesso e tutti i componenti delle varie spedizioni che, quei giorni, messi improvvisamente di fronte ad una situazione agghiacciante alla quale non era preparati non hanno rischiato la loro vita per quella degli altri più in pericolo, ma hanno agito con buonsenso invece di ricercare l‘eroismo. Jon rimarrà marchiato per l’avventura vissuta, per gli errori di valutazione, per i tremendi rimorsi che ne conseguiranno e per le diatribe con i sopravvissuti negli anni a venire: un film già visto nella storia dell‘alpinismo.

Il fulcro del libro è: impariamo ad avere coscienza dei nostri limiti. Non c’è nulla di cui vergognarsi.

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