Il quattordicesimo album della Mitchell (siamo nel 1991) recupera un ruolo centrale alla sua chitarra, negli arrangiamenti e negli equilibri sonici delle sue composizioni. Joni infatti si affida alle sei corde come strumento guida per dieci episodi su undici. Solo la finale “Two Grey Rooms” è pianistica (ed orchestrale): peraltro fra le migliori del lotto, possibilmente il vertice del disco.

La sua voce, in gioventù sopranile, ora evoluisce stabilmente su tonalità da contralto, massimo da mezzo soprano. Il vizio inveterato del tabagismo c’entra parecchio, tuttavia questa emissione “adulta” è non meno prestigiosa e fascinosa, sempre in progresso in quanto a sfumature interpretative e di scorrevolezza. La passione per il jazz, quel circondarsi di prestigiose personalità di quel sofisticato genere musicale, dà una grossa mano.

Eh sì…, quando Mitchell chiama, tutti i pezzi grossi accorrono. Qui evoluiscono ancora una volta i fidi Wayne Shorter ai sax e Michael Landau alle chitarre due tizi che, quando danno fiato o pennate ai loro strumenti, non passano mai inosservati. Alla batteria tocca stavolta a Vinnie Colaiuta, suo tamburaio prediletto fra l’altro, notoriamente un manuale vivente di come si può suonare al meglio questo meraviglioso strumento.

Ma è bello intravedere, sul brano “Nothing Can Be Done”, un’ospitata del grandissimo e misconosciuto (da noi) David Baerwald, cantautore dell’Ohio dalla carriera non troppo costante, il quale proprio in quegli anni stava mettendo mano al suo capolavoro assoluto “Triage”, album del 1993 che personalmente considero fra i venti, trenta migliori che abbia mai sentito.

Funziona ancora alla grande il matrimonio della bionda cantautrice con il jazzista/fusionista Larry Klein, il quale come bassista circonda la sua chitarra con groove eleganti e come produttore le assicura un suono sciccoso, sebbene abbastanza asciutto e consono al genere da lei frequentato.

Quale genere? Da molti anni addietro, più o meno dal ’74 e da “Court & Spark”, un jazz folk con venature blues e rock. Di pop ce n’è veramente poco in quest’opera, come sempre per lei. Joni è decisamente cibo per musicofili, per gente un minimo raffinata, senz’altro per tantissimi musicisti che vedono in lei una chiara avanguardia e un’inesauribile fuoriclasse.

Nessuno copia la Mitchell, è troppo peculiare ma, chi ci capisce, la ama per forza. Questo suo disco è ottimo, le melodie non sono tanto “fresche” rispetto al passato ma il vestito ritmico e chitarristico, i testi, l’espressività vocale sono da campionessa.

Elenco tracce e video

01   Night Ride Home (03:21)

02   Passion Play (When All the Slaves Are Free) (05:25)

03   Cherokee Louise (04:32)

04   The Windfall (Everything for Nothing) (05:16)

05   Slouching Towards Bethlehem (06:55)

06   Come in From the Cold (07:31)

07   Nothing Can Be Done (04:54)

08   The Only Joy in Town (05:12)

09   Ray's Dad's Cadillac (04:34)

10   Two Grey Rooms (03:59)

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