Heart of Darkness: ghosts & monsters.
1. (Ma qui allora era buio, e anche questo è stato uno dei luoghi bui della terra)
Deptford. Il sole tramontò; l'oscurità scese sul Tamigi. Il traffico della grande città continuava sul fiume insonne nella notte sempre più fonda. Marlow raccontava al suo equipaggio di navigazione attuale i suoi ricordi ai confini del mondo, con un mare colore del piombo, un cielo colore del fumo, ripensando alle due donne che montavano la guardia alla porta delle tenebre. Adesso tutti loro che lo ascoltavano erano abbastanza uomini per affrontare le tenebre. Kurtz era più che altro un'idea, un'ipnosi, un figmento. Persino la sua esistenza era stata improbabile, inspiegabile, sconcertante. Era stato un problema insolubile, era assurdo che fosse esistito, che fosse riuscito ad arrivare così lontano, che ce l'avesse fatta a rimanerci, tanto da trovarsi così lontano che non avrebbe più saputo come fare a tornare indietro. Spedito nelle profondità delle tenebre, era divenuto egli stesso tempo e luogo della tenebra. Il serpente seduttivo aveva affascinato, incantato e infine imprigionato anche lui. Kurtz era l'uomo bianco in mezzo all'Africa nera, ed era riuscito a diventare per loro un Dio. Gli obbedivano, ma non ispirava né amore né paura, e nemmeno rispetto. Ispirava disagio, disagio. Non una diffidenza - soltanto disagio. Avere risalito quel fiume era stato come viaggiare indietro nel tempo sino ai più lontani albori del mondo, quando la vegetazione cresceva sfrenata sulla terra e i grandi alberi ne erano i signori. Un grande silenzio e una foresta impenetrabile. L'aria era calda, densa, opprimente, sognante. Non c'era gioia nello splendore del sole, Kurtz stregato e tagliato fuori da tutto ciò che aveva conosciuto - da qualche parte - molto, molto lontano - forse in un'altra esistenza, risalendo alle tenebre profonde del suo cuore. Stava vagando, con la sua ciurmaglia, su una terra preistorica, su una terra che aveva ancora l'aspetto di un pianeta sconosciuto, di un tormento silenzioso e profondo. La foresta aveva attraversato le acque come per sbarrargli la strada del ritorno, mentre s'immergevano sempre più a fondo nel cuore delle tenebre. La giungla era disperata, buia, inaccessibile al pensiero umano, senza pietà verso le debolezze umane. Non potevano capire, navigavano nella notte dei primi tempi, quei primi tempi che erano scomparsi. Lì poterono vedere qualcosa di mostruoso, di potente e invincibile perché libero. Si guardarono intorno stupefatti e cominciarono a sospettare di essere sordi, poi piombava improvvisamente la notte e cominciarono a credere di essere anche ciechi, e tutto era assolutamente immobile. Ma quell'immobilità non assomigliava per niente alla pace, era l'immobilità di una forza feroce e spietata che stava rimuginando un'insondabile progetto e che sembrava guardarli con un'atroce aria di vendetta. Sui pendii delle stazioni della compagnia intuì che nel sole accecante di quelle zone avrebbe conosciuto il demone flaccido, pretenzioso e miope e di una follia rapace e spietata, com'è giusto che faccia chi affronta le tenebre. Ma ai Tropici bisognava soprattutto mantenersi calmi, questo perché i cambiamenti avvenivano soprattutto all'interno. Ma, tuttavia, la foresta aveva scoperto tempo prima la sua vera natura e si era presa su di lui una vendetta terribile, sussurandogli qualcosa di sé che lui ignorava, qualcosa di cui non aveva mai avuto avviso fino a che non si era consultato con quella grande solitudine e l'oscurità di una notte impenetrabile. La sua anima, sola in quella foresta, aveva guardato dentro di sé, ed era impazzita.
La sua era una tenebra impenetrabile presentatasi in un momento supremo. Marlow si chiedeva spesso se l'avesse davvero mai visto, e gli restava indimenticabile il suono della voce di quel fantasma, e gli restava indimenticabile il flusso pulsante della luce dal cuore di una tenebra.
2. (Costretto a vivere nel cuore dell'incomprensibile)
Cuore di Tenebra venne pubblicato dal periodico scozzese Blackwood's Magazine in tre puntate tra il febbraio e l'aprile del 1899, a un anno dalla fine di un secolo. Romantico e modernista, viaggio interiore fisico e metafisico a ritroso nella psiche umana primitiva, il libro è denso, oscuro e lento, ipnotico, specie se affrontato in letture di notti d'estate con temperature tropicali che non scendono sotto i ventiquattro gradi centigradi e con il suono delle cicale a interferire il suono del silenzio, con tutto ciò che imita l'atmosfera del viaggio lungo il fiume della giungla, così da poterne sentire davvero il peso dell'ambientazione ferma e intensa. Criticato nel tempo di razzismo, misoginia, etnocentrismo, in realtà tra le pagine del testo sembra che l'autore ne prenda le distanze relegando quelle caratteristiche ad alcuni personaggi, e sembra piuttosto essere un reale tentativo di documentazione antimperialista, anticolonialista, svelando le menzogne dell'epoca mascherate da intenti filantropici. Cuore di tenebra è quello del territorio, è quello dell'uomo, quello noto e predatorio del colonizzatore dell'Occidente, quello ignoto delle regioni e degli uomini dell'Africa, quello resistente di Marlow, quello che si è dimostrato disperatamente corruttibile di Kurtz, da uomo di cultura e d'arti a mostro e dittatore, un dio bianco sceso in terra tra uomini neri che non avevano mai visto tanto pallore, in tutti i casi, tutti schiavi. Tutti schiavi di quel gran bell'affare che sarebbe stato il capitalismo, tutti schiavi con l'anima sotto chiave nei loro amari cuori di tenebra. E i mondi paralleli terrestri evidentemente esistono, esistono i numeri sulle lavagne, sui quaderni, sui tabelloni, sugli schermi, sui mainframes, la finanza mondiale schizza, la velocità, la luce e i sassi nel fiume stanno là da secoli tranquilli. Un'idea dell'eternità, prima della lettura che sarebbe venuta dei Tristi Tropici, prima del Culto del Cargo, prima del mito del buon selvaggio, prima della scoperta della società del tempo libero, della visione verticale e del passaggio fondamentale dalla natura alla cultura, il nostro cuore, il nostro cuore di tenebra, fantasmi e mostri, e la notte oscura dell'anima, e il sussurro di una voce che parla oltre la soglia di una tenebra eterna.
3. (Guardare da una nave la costa che scivola via è come riflettere su un enigma)
La conquista della terra. Preannuncio del cambiamento, dell'efficienza, del commercio, dei massacri, delle benedizioni. Un'intensa e avvilita disperazione. Marlow osservò la stazione e gli uomini che, pregando l'avorio, vagarono senza meta, chiedendosi cosa significasse tutto ciò. E fuori la foresta silenziosa gli parse qualcosa di grandioso e d'implacabile. Osservò quegli uomini piccoli piccoli che tentarono di ingannare il tempo sparlando e intrigando l'uno contro l'altro in maniere assai stupide. C'era sempre un clima di congiura in quelle stazioni che, naturalmente, non portava a nulla, se non al nulla. Era irreale, come tutto il resto, intrigavano e si calunniavano soltanto per questo. Marlow si chiese cosa fossero loro che erano finiti laggiù, senza risposta. Gioventù, vedere cose, accumulare esperienze, idee, allargare la mente, tutte bugie, e nelle bugie c'era un tocco di morte, un sapore di mortalità, di assurdità, di sorpresa, di smarrimento, erano tutti loro prigionieri dell'incredibile. A Marlow non piaceva lavorare, ma gli piaceva ciò che nel lavoro era insito, la possibilità di trovare sé stessi. Ma tutto, laggiù, ogni cosa, gli sembrò condurre nel cuore di un'immensa tenebra. Kurtz, ormai malato e malfermo, era morto nel viaggio di ritorno, proprio mentre stava rivivendo la propria esistenza terrena in ogni suo particolare, in quel momento supremo di conoscenza totale, reale, definitiva. Verità e sincerità compresse in quel momento veloce vagante sulla soglia dell'invisibile, un pensiero, uno solo, sufficientemente acuto da penetrare tutti i cuori corrotti come il suo che batterono nella tenebra, come il battito sulla pelle di un tamburo del Congo, il battito del tamburo, regolare e soffocato dalle lontananze, battente come le pulsazioni di un cuore - il cuore di una tenebra. Il cuore di Kurtz, e i suoi occhi, che tempo dopo Marlow continuava a sentirsi addosso, come se lo stessero fissando con quello sguardo ampio e immenso che abbracciava, condannava e odiava l'intero universo. E cosa era successo al suo cuore? E cosa aveva visto laggiù se non l'orrore? L'orrore! Ma loro possedevano il male, ma loro possedevano la cura, fino a pensare che il tempo fosse un concetto diabolico che non era mai esistito, perché sarebbe bastata la storia totale di un istante affinché il caos li spaventasse per la sua indecifrabilità. Non esisteva niente, non esisteva nulla da comunicare, non esisteva uno stralcio di niente da raccontare che avesse significato qualcosa, era il nulla, solo il nulla. Esisteva da sempre solo un unico immenso e profondo vuoto, niente significava niente, niente avrebbe significato qualcosa, niente era afferrabile, totalizzare era una strategia che non esisteva, esisteva solo il nulla. E cosa gli era successo lì al cuore? Marlow tempo dopo salì per una scala pulita e disadorna. L'edificio era silenzioso come una casa in una città dei morti. Lei andò verso di lui, tutta in nero, pallida, fluttuando verso di lui nella penombra, un'ombra tragica e familiare sul luccichio del fiume infernale, del fiume di tenebra. Brillava di una luminosità sovrannaturale nell'oscurità, nella tenebra trionfante. Aveva capacità ultraterrene, capacità mature di fedeltà, di fede, di sofferenza, e con lei la stanza pareva essere diventata più buia. Per lei Kurtz era morto appena ieri, e vide lei e lui nello stesso attimo di tempo - la morte di lui e il dolore di lei - il dolore di lei nel momento stesso della morte di lui.
Li vide insieme, li udì insieme. E a quel punto decise che sarebbe stato troppo buio, decisamente troppo buio, e in articulo mortis non si ritenne necessaria la verità lì a Bruxelles.
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