La fine di un amore è un evento critico, devastante, carico di elementi contrastanti e incomprensibili, che segna per sempre la delicata superficie di un cuore, inciso talmente a fondo dalla sofferenza, da ritrovare impressa su di sé una cicatrice permanente, come prova di ciò che è stato e monito per ciò che sarà.

Se invece a morire non è il sentimento, ma chi lo prova, quale abominevole dolore può ritrovarsi ad affrontare la metà superstite di quel rapporto ormai sciaguratamente finito in rovina? Quanto può ingigantirsi la sensazione di impotenza e desolazione di un individuo ormai dedito soltanto al desiderio di togliersi la vita, pur di poter raggiungere l'amante irrimediabilmente perduto? Come deve essersi sentita la giovane ed ingenua Laura al tragico crollo del suo cocente amore per l'ambigua ed affascinante Carmilla?

Quest'ultimo quesito penso se lo sia posto anche il polistrumentista Richard Willeman, subito dopo aver concluso la lettura del romanzo vampiresco di Sheridan Le Fanu del 1872, dal quale ha indubbiamente preso ispirazione per la composizione di "Carmilla", una delle tracce del recente "The Age of Science and Enlightenment" (2006), dove maggiormente si mostra quel sopraffino gusto gotico, morbido e sinfonico, ma allo stesso tempo oscuro e misterioso, che da sempre distingue la produzione dell'artista inglese e dei suoi Karda Estra, i quali, dal magico "Eve" (ispirato a "L'Ève Future" di Auguste de Villiers de L'Isle-Adam, del 1886) al pregevole "Voivode Dracula" (concept sull'immortale opera di Bram Stoker del 1897), non hanno mai nascosto la loro passione per le atmosfere sensuali, tetre ed eleganti, nate dall'indistinto confine tra sogno e incubo, caratteristico della letteratura fantastica ottocentesca.

Nonostante Richard sia addetto a piano, tastiere, basso, chitarra e percussioni, è Caron Hensford che spicca su tutti i membri della formazione, grazie al suono romantico ed evocativo del suo oboe, che si ritrova prima a duettare con il sassofono alto della fiatista Zoë Josey, sopra un intenso tappeto pianistico ("Talos"), poi con il flauto, in delicate evoluzioni sospinte da dolci arpeggi di chitarra ("The Age of Science and Enlightenment" - "The Red Room") ed infine con le tastiere, producendo toni sommessi e malinconici, rischiarati ancora una volta dai leggeri tocchi dello strumento a corde ("Nocturne Macabre").

Ileesha Bailey entra in scena esaltando, con i suoi vocalizzi, una splendida trama strumentale, intessuta dai fiati e dal piano ("Carmilla"), mentre le tastiere e il flauto danzano su ritmi decisi, suggeriti dalle percussioni e dal cupo suono del basso ("Am I Dreaming You? Are You Dreaming Me?"), il tutto prima delle fugaci apparizioni del violino di Helen Dearnley, nei momenti più concitati di una lunga cavalcata intrapresa dalla tastiera e dalla chitarra ("Bones in the Moonlight"), lasciate successivamente indietro nella conclusiva ed elegiaca marcia intonata da flauto, voce e oboe ("Second Star").

L'unicità della proposta musicale di questa band, ricorda in qualche modo il sentimento di cui abbiamo parlato in precedenza, talmente puro e irrazionale, da apparire quasi come una creatura mitica che si cela agli occhi della ragione. Una leggenda ebraica racconta che Eva, dopo aver mangiato il frutto proibito, convinse gli animali a cibarsene, così da non essere l'unica a dover lasciare i giardini dell'Eden. Tutti caddero nel suo inganno, tranne la Fenice, la quale, per la sua saggezza, venne ricompensata con l'immortalità anche nel piano materiale, risorgendo dalle proprie ceneri ogni mille anni trascorsi sulla Terra. L'amore, similmente, per quanto sotterrato da angosce e frustrazioni, conserva sempre una piccola scintilla, magari impercettibile e ardua da riconoscere, ma impossibile da cancellare o estinguere, proprio come la vita del sacro uccello di fuoco.

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