I feel like I’m disappearing, getting smaller everyday / But when I open my mouth to sing, I’m bigger in every way (Sonic Youth – Tunic (song for Karen))

Take 1

A dire che “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” si fa bella figura e si cita il buon Lev (che è sempre un bel citare) e, oltretutto, si può pacificamente presupporre che sarà improbabile trovare chi possa avere motivo di obiettare. Ci va, però, che la citazione te la devi prendere tutta e in un sol sorso, quasi come medicina e, quindi, anche quel “le famiglie felici sono tutte uguali” che non sta lì come corollario o complemento retorico, non puoi mica dimenticarti di aggiungerlo! Certo non sembra così ficcante, certo magari sembra persino consolatoria come affermazione.

Sembra.

Ma, vedi, le famiglie felici sono davvero tutte uguali: emanano lo stesso tanfo di menzogna, sono tutte pallidi scimmiottamenti della stessa impostura, dello stesso falso modello etero-strutturato.

Io accendo il fuoco, tu metti i fiori nel vaso che ho comprato per te oggi. Le finestre sono illuminate dai raggi del sole che le attraversano come gemme ardenti, solo per noi”.

Tutte uguali. A New York come a Barcellona, a Varese come a Montevideo o a Downey, sobborgo di Los Angeles, dove i Carpenter si erano trasferiti da New Haven nel Connecticut.

Tutte uguali.

In quella decorosa e pulita villetta di Downey le camicie stirate stanno in ordine nei loro cassetti, la torta di mele nel forno, c’è il profumo dei gerani che viene dal giardino e c’è un ragazzotto americano biondo e ben pasciuto che suona il pianoforte; ti aspetteresti – da un momento all’altro – l’entrata in scena di un Fonzarelli qualunque a strappare una risata; ma il bamboccione biondo non è Ritchie Cunningham, è Richard Carpenter, il rampollo di Harold e Agnes. Richard ha diciassette anni e quel pianoforte lo suona sin da bambino, certo in repertorio non ha le “rapsodie ungheresi” o le “gymnopédies”, ma Agnes ha deciso che quel fantolone orocrinito è un talento che deve sbocciare, una promessa della Musica, che quel pianoforte li porterà lontano e, in casa, tutti sanno che se Agnes ha deciso qualcosa, quella cosa si farà.

Così Harold si tiene alla larga e Karen, la sorellina più piccola, dolce, bassina e appena appena un po’ paffutella, si dà da fare: studia, sorride, accudisce il fratellone “geniale”, balla il tip tap, colleziona gadget della Disney, diventa un’esperta di baseball (per parlarne col padre), decide che anche lei suonerà uno strumento (prima il glockenspiel, poi scopre la batteria e, cazzo, diventa subito bravissima!), ascolta la musica che piace a Richard e ad Agnes. Certo, Harold pensa che la batteria non sia proprio adatta per una sana ragazzotta cristiana e americana che presto dovrà cercarsi un marito e mettersi a sfornare figli, ma Agnes ha detto che va bene – per ora! - e Harold sa, ormai da tempo, che non conviene contraddire Agnes.

Si dà da fare Karen, si impegna e sorride. Ha imparato a stare in disparte e a sorridere sempre. Fa un sacco di cose e tutto quello che fa lo fa bene, anche troppo bene, sempre! Ma nessuno sembra accorgersene.

(Mamma guardami!

Mamma guardami!

Guardami mamma…)

Take 2

Ci è voluta un po’ di gavetta: Il “Richard Carpenter Trio”, gli “Spectrum” e, infine, solo i “Carpenters”. Prima le feste parrocchiali (i Carpenters sono membri attivi della Chiesa Metodista), poi i concerti, piccole apparizioni in radio e in televisione e, finalmente, la A&M che li mette sotto contratto per il primo disco. “Offering” (poi ristampato come “Ticket To Ride”), però, non se lo fila nessuno. In effetti il disco è quel che è: un pugno di canzoncine slavate e qualche cover ma la cosa più grave è che a Richard, il “genio” di casa, non basta suonare pianoforte e tastiere, comporre ed arrangiare i pezzi e mettere bocca su produzione e missaggio, no! Il nostro eroe si accanisce pure a cantare mentre Karen, ben nascosta dietro alla sua batteria si limita ai cori e poco più.

Poi succedono due cose: la prima è che incontrano Burt Bacharach che, per qualche motivo, li prende in simpatia e decide di regalare loro una sua vecchia canzone, un hit “minore” scovato in qualche cassetto; la seconda è che, quella canzone, si decide di farla cantare a Karen.

“(They Long To Be) Close To You”, cantata da Richard Chamberlain nel ’63 come lato B di “Blue Guitar”, non se la ricordava più nessuno, ma neppure la successiva versione incisa da Dionne Warwick, (non proprio una sgallettata qualunque!) aveva lasciato gran traccia. E, invece,nelle mani dei Carpenters quel pezzo fa il botto: scala le classifiche di mezzo mondo e ci rimane per un bel po’ (undici settimane solo negli States) e non è certo per l’arrangiamento di Richard! A renderla indimenticabile è solo lei: Karen.

La voce di quella ragazzotta minuta e timida si estende, con naturalezza e senza apparente fatica, su oltre tre ottave senza mai stridere, mai indebolirsi, mai incrinarsi, mai dare l’idea di essere al limite; ma – soprattutto – quello che ha del soprannaturale è quell’intonazione cristallina e perfetta. Niente vocalizzi, ghirigori, trucchi o virtuosismi; Karen canta con una “normalità” che lascia esterrefatti. E senti che c’è un mistero irrisolto in quella normalità, che nel sorriso e nello sguardo schivo di quella donna, forse non bellissima, c’è un abisso e tu non puoi evitare di venirne attratto.

Agnes e Richard, obtorto collo, debbono accettare la cosa: è Karen la gallina dalle uova d’oro, è lei, e non lo stoccafisso biondo di mammà, la carta vincente. Ai due, probabilmente, gli brucia un po’ ma contare i soldi è un bel modo per farsela passare. Il prezzo più alto però, anche questa volta, lo paga Karen: adesso dovrà dire addio alla batteria, la sua grande passione, e mettersi al centro dello spettacolo, la sua più grande paura.

(Mamma, Richard non volevo. Non è stata colpa mia!

Adesso mi guardano tutti.

E, io, vorrei solo scomparire.)

Take 3

I Carpenters hanno fatto il botto: all’alba dei ‘70 i rampolli di mamma Agnes mettono in fila una serie impressionante di successi e, i due, almeno fino al 1976 sembrano inarrestabili.

Dischi d’oro e di platino, tutti i loro singoli volano costantemente in cima alle top ten, tour faraonici costantemente sold out e spettacoli televisivi seguitissimi. I Carpenters con la loro immagine pulita, con tutta quella retorica di buoni sentimenti e sani valori tradizionali sono i beniamini di un pubblico wasp e conservatore che, in quegli anni, l’industria dell’entarteinment sembrava snobbare. Grave errore! Quello è un pubblico pagante e fedele; a tutt’oggi si calcola che i Carpenters abbiano venduto la cifra impressionante di oltre 100 milioni di dischi!

Tutti abbiamo visto questa famosa fotografia: è il 1° agosto del 1972, i Carpenters sono invitati alla Casa Bianca dal presidente Nixon che, in posa, sorride con le due superstar della porta accanto. E’ la migliore celebrazione di quell’idea di America sana e benpensante, patriottica e cristiana che non si riconosce in quella gioventù libertaria, capellona e poco amante del sapone e delle belle melodie che sembrava andare tanto di moda.

Ma quell’immagine è solo un’altra bugia: quei tre tizi che sorridono impostati in favore di camera sono tre naufraghi che stanno affogando.

(Mamma perché mi guardano tutti?

Non mi piace

Non voglio)

Take 4

Nixon, solo un’annetto più tardi, sarà spazzato via dall’affaire Watergate; Karen e Richard, invece, resteranno a galla un poco in più.

I due fratelli sono costantemente in tour o in giro a promuovere i loro dischi, quando non sono in sala d’incisione; praticamente non hanno una vita privata, sono costantemente sotto il controllo di mamma Agnes e sotto i riflettori dello stardom, riusciranno ad avere un appartamento tutto per loro solo quasi a trent’anni. Tutto è e deve essere netto, pulito, virgineo, incorrotto; non ci sono beghe, filarini, tresche, litigi, bugie in quella perfetta armonia che nessuno sembra poter incrinare.

La casa, la chiesa, a modo e perbene, campana che suona, la notte che viene. Cristiano decoro, cristiano decoro, cristiano decoro…

Tutto è sotto controllo: Richard riesce ad avere una tresca con una delle parrucchiere del suo entourage che viene subito cacciata via, Karen pare (qualcuno vocifera) che abbia qualche breve e insignificante amorino con un paio di membri del loro staff, ma nessuno ne sa veramente niente. Tutto è sotto controllo, tutta la polvere è ben nascosta sotto ai tappeti.

Ma quella roba senza sussulti e senza increspature ad un certo punto comincia a venire a noia eil pubblico comincia a guardare da altre parti. Sia ben chiaro: i loro dischi si continuano a vendere benissimo e gli spettacoli attirano sempre pubblico, ma si avverte un rallentamento, un calo d’interesse, l’inizio di una flessione. Ma, soprattutto, Richard e Karen ormai sono cresciuti, stanno cambiando e quell’immagine da famigliola da “Happy Days” comincia a emanare un pessimo odore.

Nel gennaio del 1979 Richard, completamente impasticcato e in uno stato semicomatoso, cade da una rampa di scale prima di uno spettacolo, in tutta fretta viene portato alla Menninger Clinic di Topeka, in Kansas, per curarsi – ufficialmente – da una grave dipendenza da Quaalude e, a quel punto, dice basta e decide di fermarsi almeno per un anno.

E, così, Karen, percorrerà da sola l’ultimo tratto della sua personale discesa agli inferi.

(You aren’t never going anywhere

You aren’t never going anywhere

I can still hear momma say: “honey don’t let it go to your head”)

Take 5

Quando ha cominciato, Karen, a controllare il suo peso? E quando quel controllo è diventato maniacale?

Karen, a tredici anni, era alta un metro e sessantatre centimetri e pesava 66 chili, nel 1975 era arrivata a pesarne 41. La piccola di casa Carpenter non si era mai piaciuta ma ci si abitua anche a questo; nascosta dietro quella enorme batteria Ludwig si sentiva protetta e a suo agio: era una batterista e non voleva essere altro. Poi è venuto fuori che il suo più grande talento (tra gli incredibilmente tanti che aveva) era il canto e tutto era cambiato: buttata davanti alla folla, intabarrata in orripilanti costumi di scena ridicolmente kitsch, si era trovata costretta a fare i conti con la propria immagine. La sua vita diventa un inferno di lassativi, pasticche di ogni tipo, vomito autoindotto, esercizio fisico maniacale e rifiuto del cibo. Chi le stava intorno non riusciva a capire cosa stesse succedendo , Agnes e Richard la spingevano a mangiare e a fare una vita più sana, ma Karen sorrideva e negava e prometteva e, poi, ricominciava di nascosto.

Ma, diamine, Karen era una stella di prima grandezza! Ricca, famosa e invidiata. Cosa accidenti le mancava?

Era arrivato anche l’amore! Lui si chiama Thomas Burris, un impressionante trancio di tonno biondo e sorridente che, a quanto si sapeva, aveva fatto i soldi con degli investimenti immobiliari. Il matrimonio è bello e combinato nel giro di qualche mese: Karen è stufa di essere una star, vuole essere moglie e, soprattutto, madre. E’ una donna all’antica, fieramente conservatrice: il posto di una donna è lì, ne è convinta, dietro le spalle di un uomo!

La verità, però, viene fuori così, tutta insieme, giusto pochi giorni prima del matrimonio.

Thomas è un bluff, i soldi non ci sono e lui mira a quelli di Karen per pagare i debiti che lo stanno strozzando ma, cosa ben più grave, ad avere dei figli non ci pensa proprio, ne ha già uno da un precedente matrimonio e gli basta e, per non rischiare, si è anche sottoposto ad un intervento di vasectomia e, comunque, di passare le sue notti con “quel mucchio di ossa” (le dice proprio così) non ci pensa proprio. Karen decide di mandare tutto all’aria, ma Agnes non ci sta: ci sono gli invitati che stanno già arrivando, la stampa che ne parla da giorni, bisogna evitare lo scandalo… “Ti sei fatta il letto da sola ed ora ci devi dormire dentro” le dice proprio così.

E Karen abbassa la testa.

(si mamma

sono come vuoi tu, mamma

sono come volete tutti)

Take 6

Il disco “fantasma” di Karen.

La Musica. A Karen rimane solo la musica e, per la prima volta nella sua vita, la dolce e remissiva Karen farà di testa sua: inciderà un disco solista; finalmente avrà qualcosa che è solo suo.

Dovrà implorare e battere i piedi e supplicare. Agnes, Richard, i dirigenti della A&M, nessuno è disposto a darle credito; per tutti è solo il capriccio di una star viziata e annoiata e che rischia di rompere il giocattolo che ancora può funzionare, di seccare il limone che può ancora essere spremuto.

A credere in lei sono i musicisti: Quincy Jones, Billy Joel con tutto il suo gruppo, Bob James, Steve Gadd, Peter Cetera, Airto Moreira e tanti altri che in quel disco ci suoneranno e, poi, Phil Ramone che quel disco decide di produrlo. Karen il disco se lo paga di tasca propria: 400 dei 500mila dollari del conto finale sono suoi. E così “Karen Carpenter” viene fuori contro tutto e contro tutti nel gennaio del 1980.

Richard, consapevole che la sorella non avrebbe mollato, le aveva bonariamente intimato di non uscire dal seminato, di non fare colpi di testa e rimanere nei confini del loro stile e del loro marchio di fabbrica: canzoni pulite e tranquillizzanti con testi adeguati e, soprattutto, NIENTE disco-music!

E Karen farà un disco ritmato e ballabile con testi persino “allusivi” e, finalmente, adulti. Certo niente di “eccessivo”, chè sempre di una Carpenter parliamo, ma Phil Ramone le aveva detto: “il tuo pubblico sta crescendo, cresci insieme a loro” e Karen lo aveva fatto. Lo ripeto: niente di sconvolgente, “Karen Carpenter” suona come uno di quei dischi che faranno la fortuna di una Celine Dion o di una Mariah Carey giusto qualche anno dopo.

Eppure quel piccolo disco è un urlo sommesso, una ribellione nata sconfitta, un “Take a Little Piece of My Heart” sussurrato col pigolio di una martire, una Janis Joplin che non può e non sa urlare, un talento smisurato bruciato dal veleno del perbenismo. Un disco che può toccarti il cuore e diventare una piccola ossessione.

Chiaramente per Richard, Agnes e quelli della A&M quella roba lì è “impubblicabile”, quel disco “non s’ha da fare”, Karen si è divertita ma, adesso, si torna a fare sul serio. Il fratellone si è rimesso in piedi, è guarito e bisogna pensare al nuovo disco e a rimettersi a galoppare. Così quei nastri finiscono dove è logico che vadano a finire: in un cassetto fino a data da destinarsi.

E Karen abbassa la testa.

(Take another little piece of my heart

Break another little bit of my heart

Have another little piece of my heart: you know you got it)

Take 7

Ha ceduto su tutto Karen, si è persino decisa a farsi curare e sta riprendendo peso. Su una sola cosa non ha ceduto: Thomas Burris se ne deve andare, Karen vuole il divorzio e Agnes, questa volta, lo deve accettare.

Tutto ricomincia come prima, splende il sole sul paese felice di Carpenterlandia, tutto è lindo e pulito e profuma di violette, il nuovo disco è quasi pronto e presto i tutti i loro fan potranno riprendere ad abbracciarli in concerto. Tutto come prima. Richard non so cosa si butti in corpo e dove vada a placare i suoi demoni ma so che Karen ha preso ad ingollarsi quasi una decina di lassativi al giorno e altrettanti stimolanti tiroidei ed ha anche scoperto uno sciroppo, l’ipecac, venduto in farmacia come prodotto da banco senza bisogno di prescrizione, che induce il vomito.Ma avvelena il cuore.

A gennaio del 1983, Karen appare in pubblico sorridente e parla dei suoi progetti futuri. Il primo febbraio Karen e Richard si vedono a cena per parlare del nuovo disco e del tour. Poi Karen va a casa dei suoi genitori. La mattina del 4 febbraio Karen non si vede, è in ritardo per la colazione, forse dorme ancora, eppure quella è una mattinata importante; Agnes la cerca ed, infine, la trova: quel che resta di Karen è accasciato in terra nella sua cabina armadio.

Quella mattina avrebbe dovuto firmare i documenti definitivi del suo divorzio da Burris. Quella che sarebbe stata la sua unica vittoria.

(Mamma adesso mi vedi?

Mamma adesso mi vedi?

Mamma mi vedi, adesso?)

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