La rinascita dalle ceneri è un mito a volte un po’ retorico ed abusato, ma nel caso dei Kasabian calza assolutamente ed inequivocabilmente a pennello.

Dopo il terremoto provocato dalla cacciata del frontman Tom Meighan (inutile tornare sui fatti di due anni fa, se ne è parlato pure troppo), tante band avrebbero accusato mortalmente il colpo; non il quartetto di Leicester, che prende la decisione di portare a centro palco Serge Pizzorno. In fondo, il chitarrista di origini italiane è il main songwriter del gruppo sin dall’abbandono di Chris Karloff durante le lavorazioni del secondo disco “Empire”, ed ha prestato la voce come cantante principale in alcuni degli episodi più riusciti del combo britannico.

Reclutato quindi un nuovo chitarrista (Tim Carter, in tour con Pizzorno e soci dal 2013 e ora in pianta stabile in formazione), il quartetto si rimbocca le maniche affidandosi completamente all’estro e alla qualità compositiva delle creazioni del barbuto neo frontman. E fa bene, perché il buon Serge riesce nel miracolo di sintetizzare bene le due anime della band, quella vecchia e quella nuova (già da lui sperimentata con successo nell’esordio solista “The S. L. P.”).

E’ così che questo nuovo “The Alchemist’s Euphoria” (prodotto da Fraser T. Smith – già al fianco di Adele e Stormzy – e mixato dall’onnipresente Mark Spike Stent) si apre in maniera curiosa con una semi-titletrack a metà tra psych e fascinazioni latin, per poi esplodere fragorosamente nella bombastica “Scriptvre”, violento assalto sonoro che suona come se Kanye West e gli stessi Kasabian di “Club Foot” si incontrassero a metà strada.


Gli altri due singoli estratti dall’opera sono i brani più vicini ai Kasabian “vecchio modello”, soprattutto la bellissima “Chemicals”, che vanta una melodia cesellata a puntino ed una produzione moderna ma non troppo che la valorizza appieno (lo stesso dicasi per il lentone “The Wall”). “Alygatyr”, invece, è più movimentata e grezza.

Il resto dell’album invece spinge verso strade inesplorate o quasi, andando ora ad prendere con convinzione certe strade solo accennate in passato (“Rocket Fuel”, quasi à la Prodigy), ora battendo percorsi totalmente inesplorati. In tal senso, la parte centrale del disco è quella più avventurosa nell’esplorare più approfonditamente le influenze di Pizzorno; il tutto è sublimato nella spettacolare “T.U.E. (The Ultraview Effect)”, che in quasi sei minuti frulla assieme prog, elettronica e alt dance, e fa da apripista ad una martellante “Stargazr” che vira in zona Chemical Brothers (quelli meno imborghesiti di metà anni ‘90).

L’acustica e riuscita “Letting Go” chiude un disco definibile “della rinascita”, in tutti i sensi. Forse adesso i Kasabian sono pronti per crescere davvero, e definitivamente.

Brano migliore: “T.U.E. (The Ultraview Effect)”

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